Last updated on Luglio 30th, 2020 at 04:03 am
Il dibattito sulla scuola e sulla sua ripartenza in sicurezza a settembre si fa sempre più acceso. Eliminazione delle classi pollaio, impiego delle mascherine, introduzione del distanziamento, concorsi ordinario e straordinario sono i temi più discussi. Oltre a questi temi “recenti”, se ne ripresenta però uno di antica data, il PON (Programma Operativo Nazionale). Il ministero dell’Istruzione ha infatti comunicato che i 29 milioni di euro di risorse europee stanziati per istituire smart classes nelle scuole secondarie di secondo grado (acquisto di computer, tablet, proiettori, webcam e scanner, ma anche software e licenze per piattaforme di e-learning e monitor touch screen) sono destinati esclusivamente alle scuole pubbliche statali. E pensare che si tratta di un bando che, tra l’altro, ha l’obiettivo, come si legge nella comunicazione pubblicata sul sito del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), «di garantire pari opportunità e il diritto allo studio».
È evidente come qui si ricada nella solita discriminazione della scuola pubblica paritaria. Occorre allora denunciare l’ingiustizia, ma senza polemiche sterili. La via da percorrere è una sola: quella della responsabilità, che conduce all’unità della politica. Perché, se la politica si divide, la società ci rimette in cultura, educazione e senso civico. La verità, invece, si difende con la verità, con i numeri e con la loro evidenza schiacciante. È peraltro bizzarro che chi è oggi al governo si lamenti di queste ingiustizie e contemporaneamente denunci la propria incapacità a risolverle. Ovvero, se non ora, quando? Quando il governo sarà un monocolore? Fantasia. La storia insegna che il “fuoco amico” è più pericoloso di quello nemico. Basta ripensare al solo fatto che, per cinquant’anni, la Democrazia Cristiana è stata il partito di maggioranza relativa, pur non riuscendo mai a portare a termine una legislatura.
Il CoViD-19 conferma la necessità di agire nella realtà attuale, e non perdersi a immaginare come potrebbe essere lo scenario politico di domani. Essere liberi vuol dire essere onesti e chiedere alla classe politica di agire quando è in carica. L’unica cosa saggia da fare è allora collaborare, abbandonando le tentazioni polemiche, combattere la buona battaglia e solo alla fine rivendicare l’eventuale vittoria.
Per comprendere la questione dei PON occorre cioè avere la pazienza di rileggerne il percorso storico, fatto di storture e di incongruenze palesi. Questi fondi, che l’Europa destina alle scuole pubbliche statali e paritarie, quando arrivano in Italia si bloccano, perché cadono nella trappola della discriminazione, così sintetizzabile: l’Italia riconosce diritti che poi non garantisce.
Per anni si è dato colpa all’Unione Europea (UE), ma poi si è scoperto che si trattava di un errore proprio del MIUR, il quale, in un accordo di partenariato sottoscritto nel 2014 con la Commissione Europea, ha fatto introdurre la distinzione tra scuola statale e non statale.
Questa distinzione, nelle intenzioni del legislatore europeo, non ha però ragione di esistere. Infatti la UE riconosce positivamente la libertà di scelta educativa. Del resto come avrebbe potuto volere estromettere le paritarie dai PON, viste le sue numerose risoluzioni (1984, 2012, 2013, 2014) volte a garantire il diritto di apprendere dello studente, il diritto di scegliere dei genitori, il diritto di scegliere dove insegnare senza alcuna discriminazione economica dei docenti, creando le condizioni per un reale pluralismo educativo che innalza il livello di apprendimento? A chi vuole mistificare la realtà occorrerebbe forse maggiore scaltrezza. Ciò che si fonda sull’iniquità non può che portare confusione e danno. Di fronte alla crisi economica, l’ideologia deve fermarsi. Occorrono, in queste ore, gesti di grande responsabilità che, evitando ogni strumentalizzazione, passino ai fatti. È un messaggio per tutti. Non siamo in campagna elettorale: è il momento per tutte le forze politiche di agire. Se non ora, quando?
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