Nancy Pelosi contro «padre» e «madre»

Anno nuovo, governo nuovo, vecchia retorica LGBT+

Nancy Pelosi

Last updated on aprile 6th, 2021 at 05:30 am

Joe Biden non si è ancora insediato alla Casa Bianca, ma gli effetti del nuovo corso politico sembrano emergere già. Nei giorni scorsi Nancy Pelosi, presidente della Camera dei deputati, come riferisce il New York Post, avrebbe proposto delle modifiche al regolamento lessicale dell’aula che si è inaugurata ieri: per «rispettare tutte le identità di genere» verranno eliminati i pronomi maschili e femminili nonché termini come «madre» e «padre», «figlio» e «figlia», «zio» e «zia». Saranno consentite solo parole e pronomi neutri come «genitore» e «fratello del genitore».

Una prima, netta offensiva nella logica gender.

Ora, la Pelosi era già presidente della Camera anche prima della riconferma venuta in seguito alla vittoria ottenuta dai Democratici in quell’assise nelle elezioni del 3 dicembre, e quindi avrebbe già potuto varare la misura in precedenza, ma è evidente come in realtà questa “coscienza di gender” a scoppio ritardato miri semplicemente a rincarare la dose per mandare al mondo un segnale di discontinuità tanto chiaro quanto ideologico, volutamente in vista dell’insediamento della nuova Amministrazione.

Ironia social

Le modifiche proposte, che includono anche l’istituzione di un «Ufficio per la diversità e l’inclusione», saranno votate presto in una sessione della Camera e, come afferma la Pelosi, renderanno l’aula che si inaugura oggi «la più inclusiva della storia».

La questione sta già però facendo discutere, fra critiche e commenti ironici sui social. «Come puoi vedere, il Congresso ha davvero il polso degli Stati Uniti», ha twittato qualcuno. «È una sorta di piano per generare confusione tramite l’offuscamento?», ha ribattuto un altro utente. Lapidario il deputato Repubblicano Kevin McCarthy: «È una cosa stupida», ha scritto. «Firmato un padre, un figlio e un fratello».

Il precedente della Boldrini

L’iniziativa della Pelosi ricorda molto da vicino quella varata nel 2017 dell’allora sua omologa italiana, Laura Boldrini. In Italia l’allora presidente della Camera dei deputati, non appena insediatasi, si fece subito notare per la modifica (non senza costi a carico dei contribuenti) della carta intestata: «Il presidente» divenne «La presidente». E poi ancora, due anni dopo, scrisse, in veste istituzionale, una lettera a tutti i deputati, indirizzandola al «caro collega» e «alla cara collega», per invitarli a usare le declinazioni femminili nei propri interventi in parlamento, nelle interviste e negli scritti qualora si rivolgessero a persone del gentil sesso.

La contrarietà delle donne

La Boldrini giustificava l’iniziativa rilevando che «[…] le donne hanno anche il diritto ad essere definite rispetto al genere di appartenenza, di non essere espropriate della loro identità quando ricoprono dei ruoli che storicamente sono stati riservati agli uomini e dunque declinati al maschile». Lo slancio femminista, tuttavia, non riscosse il favore delle stesse donne. Le dipendenti di Montecitorio, riluttanti a una tale destrutturazione del vocabolario, scrissero una lettera di protesta alla Boldrini. «Il rispetto della parità di genere», vi si leggeva, «non può comportare l’imposizione della declinazione al femminile della professionalità, in presenza di una diversa volontà della lavoratrice». Ma non bastò questa opposizione tutta femminile a frenare l’impeto della Boldrini. Perché la voce delle donne è importante, ma solo quando si unisce al coro del politicamente corretto.

Image source: Nancy Pelosi speaking in Phoenix, Arizona, photo by Gage Skidmore from Flickr, licensed by CC BY SA 2.0

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