Last updated on aprile 22nd, 2020 at 10:25 am
La cannabis non è il basilico eppure la Corte di Cassazione pare ritenere il contrario. E infatti, nella sentenza depositata il 16 aprile, si legge che sono permesse «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore». Qualche domanda allora si impone.
Se infatti si consente la coltivazione in house, anche con tutti gli apparenti “paletti” messi dalle Sezioni unite, chi andrà più a controllare se le piantine hanno «efficacia drogante» e, soprattutto, come si farà a delimitare l’ambito dei consumatori in ambito domestico? Chi potrà, cioè, impedire che tra i consumatori vi siano anche minori, magari quattordicenni o perfino più piccoli?
E ancora. La sentenza avverte che non si può trattare di una piantagione, ma dove porre il discrimine? Dipenderà dalle dimensioni del giardino di casa, da quante persone compongono il nucleo familiare, dalla necessità di farsi delle scorte per la dispensa?
È vero che l’uso personale non è reato. Ma lo sono sempre state le attività che consentono l’uso personale stesso, proprio perché il consumo di droga è una sconfitta per la persona e per la società. Peraltro è bene sempre ribadire che, per legge, tuttora, fumare uno spinello costituisce un illecito amministrativo. È prevista, fra le sanzioni, la sospensione della patente, per tutelare chi circola per le strade e perché nessuno comprensibilmente salirebbe su un autobus o su un aereo pilotati da una persona positiva alla cannabis.
Ora, con questo nuovo orientamento giurisprudenziale, si ha da un lato una norma che considera il fumo dello spinello un illecito e dall’altro una sentenza che fa della piantina di cannabis un ospite pienamente legittimo del giardino di casa, al pari della piantina di basilico.
E tutto questo mentre, secondo la Relazione annuale sulle tossicodipendenze, circa 660mila studenti (il 25,5%) hanno fatto uso di cannabis nel 2018 (praticamente la quasi totalità di quelli che hanno consumato almeno una sostanza stupefacente), uno studente su tre (il 33,2%), tra i 15 e i 19 anni, l’ha utilizzata almeno una volta nella vita, e circa 150mila studenti presentano un consumo ad alto rischio. Va, infine, segnalata un’ultima contraddizione, che sembrerebbe da addetti ai lavori, ma che invece proprio non lo è. In maggio sempre la Cassazione a sezioni unite, aveva chiarito che la vendita di cannabis cosiddetta light è sempre reato. Con questa pronunzia si consente, come si è visto, la coltivazione domestica. Non ci vuole monsieur de la Palisse per capire che da qualche parte il seme si dovrà pur comprare. Insomma, ciò che è uscito dalla porta, potrà rientrare dalla finestra (o dal balcone stupefacente).
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