Last updated on Ottobre 28th, 2021 at 05:32 am
Se William Shakespeare tornasse in vita oggi correggerebbe l’Amleto. Più che in Danimarca, infatti, il marcio ristagna e puzza in quel triangolo settentrionale dell’Europa centrale che, ricordando un po’ l’incipt del De bello gallico per associazione di idee e calco geoculturale, in realtà è un territorio vagamente unico, tanto da essere da tempo indicato con l’acronimo Benelux: Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
Perché lassù vige la smania di legalizzare: legalizzare tutto quello che fa male alla persona, fisicamente, moralmente, spiritualmente. Aborto, eutanasia a go-go e adesso anche la marijuana. Tocca al Lussemburgo legalizzarla, primo Paese in Europa a farlo.
Il governo del Granducato del Lussemburgo ha appena annunciato una legge che legalizzerà sia la produzione sia il consumo individuale di cannabis. Ai lussemburghesi sarà pertanto consentito coltivare fino a quattro piante di marijuana ciascuno. Un lusso democratico e popolare.
Come detto, è la prima volta che in Europa si legalizza la marijuana per uso non terapeutico: cioè, come si dice, stuprando ancora una volta il linguaggio, che così diventa mera riproduzione di suoni afoni al servizio dello scettro di ferro di Humpty Dumpty invece che trasmissione di verità, «ricreativo».
Se si avesse consapevolezza di ciò che significa «ricreazione», con tutto il suo fardello di beneficio per lo spirito e per il morale, forse persino per la morale, a definire la droga in questi termini ci sarebbe da sprofondare per la vergogna. Ma il nostro mondo tracotante pensa invece che drogarsi rechi beneficio per lo spirito e per il morale, forse persino per la morale, e dunque ci impone lo «stupefacente ricreativo».
Inflitto il primo colpo in pieno petto, segue a ruota il secondo. La motivazione della legalizzazione: colpire il mercato illegale, antica, classica bugia.
Bugia anzitutto perché va dimostrato, dati alla mano e non bla bla, che legalizzare la droga sconfigga l’illegalità.
Ma, in secondo luogo, ammesso e non concesso che qualche beneficio sociale si possa ricavare in questo modo, è il tracciato dell’intelligenza che qui risulta piatto. Oppure è malafede.
Se infatti la droga fa male ed è monopolio della criminalità organizzata, legalizzarla per sconfiggere il crimine significa dire che va bene farsi male. Due errori però non fanno mai una verità, e non si può mai commettere un male per combatterne un altro. Così come non scompaiono semplicemente se si cambia loro il nome, i reati non smettono di essere male soltanto perché lo Stato li legalizza. Fosse così, sarebbe semplicissimo debellare in un istante l’omicidio, la violenza sessuale, il furto, il vandalismo: basta inventarsi nomi nuovi, ma soprattutto è sufficiente abolire le norme che li mettono fuorilegge.
Evidentemente non è così. E allora? Resta una possibilità sola: che l’assunto sopra usato per ricondurre a logica il paralogismo dei legalizzatori sia sbagliato. Cioè che chi legalizza la marijuana dicendosi animato da volontà di sconfiggere la criminalità sia in verità ben poco interessato a sconfiggere il crimine quanto più a diffondere in sé l’uso della droga dal momento che lo ritiene cosa positiva. Proprio la scienza dimostra del resto che legalizzare la droga ne incrementa l’uso, tra l’altro sui giovani.
Qui appena sopra non ho scritto un bene, perché probabilmente chi pensa così non ha alcuna intenzione di scomodare un termine come questo: semplicemente ritiene che drogarsi rechi beneficio per lo spirito e per il morale, forse persino per la morale, in base a una concezione precisa della persona umana. Sballata.