Libertà religiosa: perché serve un Inviato speciale

Aiuto alla Chiesa che Soffre rilancia l’appello. L’esempio in Europa di Ján Figeľ

Image from Flickr

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Last updated on Settembre 4th, 2021 at 05:58 am

Il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan ha riacceso i riflettori sul tema dei diritti individuali violati. È in particolare la condizione delle donne afghane ad aver suscitato mobilitazioni internazionali. Ma l’offensiva jihadista nel Paese asiatico, ovviamente, rappresenta una minaccia anche nei confronti dei cristiani e delle altre minoranze religiose. È per questo che la Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ritiene doveroso che la questione venga inserita nelle agende dei Governi. È in particolare a quello italiano che la Fondazione pontificia si rivolge con un nuovo appello urgente ‒ ne aveva già inviato uno nel maggio scorso ‒ per chiedere l’istituzione della carica di Inviato speciale per la libertà religiosa.

La duplice ragione dell’appello

ACS ribadisce la duplice ragione del reiterato appello: una tale carica consentirebbe all’Italia di «assumere un ruolo identificabile e incisivo a livello internazionale» e confermerebbe «che il diritto di professare liberamente la fede religiosa, riconosciuto dall’art. 19 della Costituzione italiana, non è circoscritto nell’ambito dei confini nazionali ma, al contrario, deve essere promosso in ogni sede internazionale, nazionale e locale, quale diritto inviolabile di ciascuno».

L’inviato europeo

Ciò che oggi manca a Roma, a Bruxelles c’è già. Il precedente appello di ACS risale a ridosso della nomina, da parte della Commissione europea, del deputato cipriota Chrīstos Stylianidīs ad Inviato speciale per la promozione della libertà di religione e credo. Una nomina attesa a lungo. Eppure, se non fosse stato per la vigorosa mobilitazione cui hanno contribuito con una raccolta firme l’International Organization for the Family e «iFamNews», probabilmente l’ufficio di questo Inviato a Bruxelles sarebbe rimasto chiuso.

Il precedente di Ján Figeľ

Sarebbe stato del resto incomprensibile sopprimere una tale figura dopo l’ottimo lavoro portato avanti da Ján Figeľ. Il deputato e ministro sloveno, nominato nel maggio 2016, in tre anni di attività ha acceso i riflettori sulla libertà religiosa minacciata: dalla forza, dal terrorismo, ma anche da un ateismo ideologizzato, sempre più aggressivo soprattutto in Occidente. Per avere un’idea dell’apporto concreto che Figel’ ha dato alla causa, basti sapere che è anche grazie al suo silenzioso operato che si è giunti alla liberazione di Asia Bibi in Pakistan.

L’alfabetizzazione religiosa

Ora, a quattro mesi dalla sua nomina, Stylianidīs ha il compito di raccogliere il testimone di Figel’. Un testimone racchiuso nelle parole che l’ex Inviato ha rivolto alla Commissione europea in un’occasione: «Abbiamo bisogno di persone intelligenti più che di apparecchi telefonici intelligenti! Significa che in un mondo globalizzato ricco di diversità dobbiamo imparare anche l’alfabetizzazione religiosa, accanto a quella digitale. Quando difendiamo e prestiamo assistenza alle comunità perseguitate, affrontiamo anche le radici della crisi dei rifugiati».

Le radici delle crisi

Parole di estrema attualità. Mentre l’Europa è già alle prese con una embrionale crisi di rifugiati provenienti dall’Afghanistan, diventa oltremodo importante riconoscere e affrontare le radici finanche religiose di queste diaspore. La figura dell’Inviato speciale per la libertà religiosa, in seno all’Unione europea ma anche in seno al governo italiano, rappresenta un impegno in questo senso.

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