Il diritto alla libertà religiosa è il primo dei diritti anche politici della persona umana. La sua garanzia è indice imprescindibile di civiltà. La sua difesa è un tratto determinante della battaglia culturale e informativa di “iFamNews”. La nomina di Ján Figeľ al ruolo di «Inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo fuori dall’Unione Europea» nel maggio 2016, un ruolo che è nato con la sua nomina, è stato un bene inestimabile per tutti. Ora il mandato di Figeľ è in scadenza. Chiediamo dunque al presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di riconfermare Figeľ in quel ruolo fino al 2024 e anzi di potenziarne gli strumenti. Siamo sicuri che la Commissione Europa, i suoi componenti e i suoi vertici non vorranno mancare questo appuntamento storico con la civiltà.
La nomina di Ján Figeľ nel ruolo di «Inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo fuori dall’Unione Europea» nel maggio 2016, un ruolo che è nato proprio con la sua nomina, è stato e ancora è un bene inestimabile per tutti, di qualsiasi credo e di qualsiasi religione, ma in special modo per chi, in diverse aree del mondo, ha subito la persecuzione a motivo del proprio credo, non ultimi i cristiani in diverse regioni in cui si trovano minoritari.
Adesso il mandato di Figeľ è in scadenza. Chiediamo dunque direttamente al presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di riconfermare Figeľ fino al 2024 e anzi di potenziarne gli strumenti. Siamo infatti sicuri che la Commissione Europa, i suoi componenti e i suoi vertici non vorranno mancare questo appuntamento storico con la civiltà.
Che cosa è la libertà religiosa e che cosa non è
Libertà religiosa non significa infatti dire che tutte le religioni siano la medesima cosa, che tutto vada comunque bene, che le fedi siano interscambiabili come un soprabito, che esista un “diritto all’errore” (come si diceva un tempo) teologicamente inesistente, ma la presa d’atto oggettiva che, su un argomento così alto, altro e diverso qual è la religione, il potere politico e la legge positiva non hanno voce in capitolo se non per difenderne la massima libertà di espressione personale e pubblica, nella convinzione che non siano né il potere né la legge positiva i soggetti titolati a porvi limiti, ma che lo è semmai il diritto naturale e ultimamente Dio stesso. La persecuzione religiosa oggi è la cristianofobia in alcuni Paesi a maggioranza non cristiana, la persecuzione delle fedi nei sistemi (neo)totalitari, l’illiberalità in certi Paesi democratici.
Non essendo essa il relativismo sul piano religioso, affermare la libertà religiosa significa dire che il fatto religioso, l’esperienza religiosa, il senso religioso, il rapporto fra uomo e Dio è e non può non essere il primo punto all’ordine del giorno sempre, la prima norma della politica, il parametro basilare dei rapporti internazionali e che i governi altro non possono fare che portare rispetto. Ciò implica per esempio che se perseguita i propri cittadini a motivo della fede che essi professano un Paese dovrebbe essere messo in mora.
Certamente le religioni non sono tutte uguali (nessun credente in una certa religione lo pensa, e il sincretismo è un fenomeno peculiare), dunque a tempo debito e con i modi dovuti si può e si deve intavolare un discorso serio sul piano della teologia delle religioni che lo affronti, ma questo mai a discapito della libertà, di cui ogni essere umano deve godere, di credere nella verità religiosa. Per ciò va protetto il diritto del singolo non in quanto monade, ma in quanto persona che crede in una religione, di ritenere incompatibile con la propria fede una determinata etica. Alla violenza e agli abusi, commessi da un credente o da un non credente, pensa infatti la legge, ma chi oggi patisce limitazioni e anche attacchi sono proprio i credenti.
La posta in gioco
Per quattro anni l’Inviato speciale Ján Figeľ è stato garanzia di questa libertà in maniera lucida e cristallina, non falsamente super partes ma sempre dalla parte della verità della cose, che è la carità minima che si possa concedere alla realtà. Prima della sua nomina quella carica neppure esisteva. Incredibile, ma vero. Con Figeľ, quindi, e poi grazie a Figeľ, l’Unione Europea ha preso a osservare un pezzetto di democraticità in più per sé e per il mondo intero.
Non uso qui «democraticità» per concessione a ciò che piace alla gente che piace, per darmi un tono o per strappare l’applauso facile dei benpensanti. Lo uso per il senso che l’espressione dovrebbe avere (e che per me ha) e che però spesso smarrisce o persino, in certi ambiti, non ha mai conosciuto. «Democraticità», cioè, nel senso originario e legittimo di «trasparente», «votato al bene», «partecipato». La democrazia non è un regime (nonostante praticamente tutti pensino il contrario), ma una condizione dell’esercizio del potere; se manca si ha il suo contrario, ovvero il dispotismo. Vien da scomodare il filosofo greco Aristotele: la democrazia è cioè il modo di governare che incarnano, pur con espressioni diverse, una pluralità di assetti istituzionali a cui si oppongono specularmente le loro deviazioni: la monarchia vs la tirannia, l’aristocrazia vs l’oligarchia, la repubblica vs l’oclocrazia demagogica.
Ieri, per esempio, era il 75° anniversario della liberazione del campo di sterminio nazionalsocialista di Dachau, in Germania. Un libro puntuale, di qualche anno fa, scritto dal giornalista francese Guillaume Zeller, La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945, lo definisce e descrive come «il maggior cimitero di sacerdoti cattolici del mondo». Non lo ricorda più nessuno (chi lo ha mai ricordato, Zeller a parte?), ma Dachau è stato anzitutto e soprattutto un mattatoio di sacerdoti, cattolici. La libertà di religione, i gesti cultuali, la preghiera sono il fumo negli occhi di ogni totalitarismo. Dovrebbero tenerlo presente gli amanti della libertà che si scordano della religione troppo facilmente.
Espressione principe del modo dell’esercizio autentico del potere da parte di un governo per ciò stesso legittimo è dunque quella qualità eminentemente e squisitamente per ciò stesso politica che è la garanzia della libertà religiosa corrispondente al primo diritto anche politico della persona, la libertà religiosa. Che appunto è politica poiché non è mai solipsistica, è anche comunitaria, è sociale, disegna uno spazio pubblico animato da soggetti privati, prevede libertà di parola, di espressione, di assemblea, di culto. Un bene inestimabile, quindi, da cui discendono tutti gli altri, gerarchicamente e fisicamente figliati.
Lo sanno benissimo anche gli atei e i non credenti.
Per questo spazio conquistato e garantito di libertà in più che la UE ha saputo darsi dal 2016 auspichiamo quindi ora che Figeľ possa permanere nel proprio incarico unico e inedito, e per questo lanciamo una petizione popolare. In questo modo tutte le persone che hanno a cuore la libertà autentica possono chiedere alla Commissione Europea di non venire meno alla democrazia.
Firma, allora, e fai firmare la nostra petizione.
Commenti su questo articolo