Last updated on Maggio 6th, 2022 at 04:51 pm
La distinzione fa “droghe leggere” e “droghe pesanti”? Falsa, menzognera e dannosa per l’opinione pubblica, in particolare per i giovani. Parola di Angelo Vescovi, biologo e farmacologo, professore associato di Biologia cellulare nell’Università di Milano-Bicocca, nonché direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e dell’Istituto Css-Mendel di Roma. Domani, venerdì 6 maggio, a Roma, il professor Vescovi sarà tra i relatori al convegno Droga, le ragioni del no. Scienza, contrasto, prevenzione, recupero, promosso dal Centro Studi Rosario Livatino. Per l’occasione «iFamNews» l’ha intervistato.
Professor Vescovi, sono decenni che il dibattito italiano è fuorviato dalla contrapposizione fra cosiddette “droghe leggere” e “droghe pesanti”. Perché, a suo avviso, questa distinzione è ingannevole?
L’espressione «droga leggera» tende a confondere estremamente il concetto e la problematica. A chi non è esperto e non conosce i meccanismi alla base di queste sostanze neuroattive, l’aggettivo «leggera» sottintende una sorta di “assoluzione” riguardo ad un utilizzo poco o per nulla controllato. Quindi è una definizione fuori luogo. Credo sia una definizione erronea che viene fatta per marcare una differenza tra sostanze comunque psicotrope, che comunque agiscono sul cervello, ma con effetti meno potenti di altre. Se paragoniamo il tetraidrocannabinolo all’LSD o, peggio ancora, agli oppiacei, ci si trova di fronte a una distinzione di tipo quantitativo e, in parte, anche di tipo qualitativo. Credo la demarcazione corretta sia “più potente/meno potente”. Droghe “leggere”, quindi, è un termine che non va assolutamente avallato, perché trasmette l’idea di qualcosa di non influente sul cervello, che non darebbe dipendenza, il che non è assolutamente vero. Le conseguenze del consumo di queste sostanze vengono sminuite e tutto questo ha un’impronta ideologica.
Quali sono, dunque, le reali conseguenze del consumo di queste droghe “meno potenti”?
C’è assoluta certezza sugli effetti negativi, permanenti e irreversibili sui cervelli dei giovani. Per questo, ribadisco, l’aggettivo “leggero” è assolutamente irresponsabile e va rigettato non in maniera dogmatica ma in base alle evidenze scientifiche. Queste sostanze danno comunque dipendenza, con effetti dal preoccupante al severo, fino al devastante. Tanto è vero che le chiamano anche «gateaway drugs», termine con cui si intende quelle droghe che introducono all’uso di altre droghe. Altro che liberalizzarle, per prevenire da ulteriori abusi… Guai a scherzare o a fare dell’ipocrisia sulla pelle dei giovani!
Per quanto riguarda la cannabis, si tratta il THC con troppa ambiguità: fino a che punto è possibile manipolare questo parametro?
La sua determinazione è un problema serio. Ovviamente il THC può essere calcolato solo in laboratorio. Ho avuto modo di parlare con persone che studiano i tetraidrocannabinoidi: mi spiegavano che, nell’ambito delle diverse specie di cannabis, il contenuto della sostanza psicotropa è estremamente variabile. Analizzando i database scientifici, ho visto che, in alcuni ceppi di cannabis, il contenuto di tetraidrocannabinolo è quattro-cinque volte superiore all’originale: una dose del genere per uno psicotropo neuroattivo è qualcosa che preoccupa. Determinare il contenuto alla base è impossibile. Va però fatta un’analisi. Sono stati selezionati ceppi con un contenuto di tetraidrocannabinolo sempre più alto. Questo del contenuto è un problema molto serio. Chi ci lavora, ha forzato la selezione nel tentativo di aumentare il contenuto. Se hai delle mucche che fanno il latte, devi selezionare quelle che ne fanno di più: è la stessa logica, purtroppo, per fini meno nobili di quello dell’alimentazione.
Altro luogo comune: se i giovani consumano cannabis “legale”, staranno lontani da sostanze più pesanti e “illegali”…
Io non so come si possa supportare un ragionamento del genere su una base logica. È un’affermazione che prescinde completamente dalla natura del fenomeno che si sta osservando, ovvero dall’analisi delle sostanze che danno dipendenza e adattamento. Ecco, io mi rifiuto di fare ragionamenti che non prendano in considerazione questo elemento fondante della discussione. C’è chi, invece, si rifiuta di considerare che i cannabinoidi sono droghe che danno dipendenza e tolleranza. In primis, va fatta una semplice osservazione di carattere sociale che però è fa parte della letteratura scientifica: da quando l’utilizzo di queste droghe è stato liberalizzato, non si è in alcun modo abbassato il consumo di droghe pesanti. Il punto è: se io analizzo il meccanismo d’azione di queste sostanze, scopro che mi danno assuefazione, dipendenza, tolleranza. Nel momento in cui liberalizzo, l’assuefazione del giovane comincia a diventare una vera e propria dipendenza. Il 10% delle persone che fanno abuso di queste droghe “leggere” passano da uno stato di assuefazione (già disfunzionale) alla dipendenza vera e propria. Questo passaggio avviene, perché la sostanza agisce sul cervello e il cervello agisce sui sistemi dell’appagamento, quindi, si abitua e non gli basta più: avviene così il passaggio successivo e diventa dipendente, dopodiché c’è la fase successiva, quella del passaggio alla droga più “pesante”.
In questo senso, il ragionamento prima illustrato non ha senso, è all’opposto della logica, è strumentale. È chiaro che chi propone questo approccio, ha in testa qualcosa di diverso. È un modo di anestetizzare le problematiche sociali. Stiamo drogando delle generazioni: invece di dare loro quello che è loro dovuto da un punto di vista filosofico, morale, etico e sociale, prospettive per il futuro, un mondo interessante, una società che gli permetta di aggredire quelle che sono le loro priorità, di sviluppare la propria intelligenza, diamo loro delle droghe. E questa sarebbe una proposta evolutiva? Come scienziato, la rigetto a piè pari. Stiamo anestetizzando intere generazioni, non siamo in grado di rispondere alle loro esigenze più banali come esseri umani: vivere, migliorarsi, crescere, imparare, mettere su famiglia. Non gli diamo più modo di fare questo, in compenso gli diamo la cannabis… Molti non si rendono conto della drammaticità della situazione di chi entra in uno stato dipendenza grazie alla cannabis. È una forma di assoluta mancanza di responsabilità nei confronti della società e delle nuove generazioni.