Le persone «trans» sempre più spesso ai vertici

Eppure la narrazione comune e ideologica ne denuncia la discriminazione e la mancanza di visibilità e di riconoscimenti

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Vi è ormai una «giornata per» qualsiasi cosa. Anche per la carbonara, il bacio e la salvaguardia delle rane. Il 31 marzo, due giorni fa, era la Giornata internazionale della visibilità transgender, dedicata alla sensibilizzazione contro l’eventuale discriminazione delle persone trans, e Joe Biden, il presidente degli Stati Uniti d’America, anticipando a mercoledì 30 ha celebrato la ricorrenza rilasciando una dichiarazione.

«Voglio che tu sappia che il tuo presidente ti vede», ha affermato Biden rivolgendosi al suo uditorio. E pure la first lady, la vicepresidente Kamala Harris, suo marito e l’Amministrazione tutta vedono «la resilienza, la forza e la gioia delle persone transgender, non binarie e di genere non conforme». Secondo le parole del presidente Biden, «la visibilità conta e tanti americani transgender, non binari e di genere non conforme stanno dando il meglio di sé. Come mai prima d’ora, condividono le loro storie su libri e riviste; infrangono il soffitto di cristallo della rappresentazione su schermi televisivi e cinematografici; si arruolano – ancora una volta – per servire con orgoglio e apertamente nel nostro esercito; si candidano e operano nella politica a tutti i livelli di governo; gestiscono attività, curano malattie e servono le nostre comunità in innumerevoli altri modi».

Eppure la narrazione mainstream, e le parole successive del presidente statunitense lo confermano, racconta di discriminazione e silenzio e censura. Motivo per cui vi sarebbe la necessità di una giornata dedicata proprio alla visibilità delle persone transgender. Non tornano i conti, però, se proprio la sessualità fluida occhieggia e sorride da ogni schermo, su ogni copertina di giornale o rivista, al cinema e in Internet e in ogni dove. Vi sono a questo proposito esempi “illustri”.

È il caso di Richard Levine, il primo funzionario federale degli Stati Uniti dichiaratamente transgender, che si fa chiamare «Rachel», scelto proprio da Joe Biden nel gennaio 2021 e confermato dal Senato nel ruolo di assistente al Dipartimento federale per la Salute, che è stato nominato fra le «[…] donne dell’anno di USA Today, un riconoscimento alle donne di tutto il Paese che hanno avuto un impatto significativo», come ha scritto il sito web del quotidiano statunitense.

Vi è poi Sam Briton, 34 anni, laureato in sistemi ingegneristici e in energia nucleare al Massachussetts Institute of Tecnology, «drag queen blasfema», scelto sempre da Biden come sottosegretario per il trattamento dei rifiuti e gli oli esausti del ministero dell’Energia.

Per non parlare del mondo dello spettacolo, dove per esempio l’ultima cerimonia di consegna dei premi Oscar ha visto sul palco, vestita di rosso e con un sorriso smagliante, Ariana DeBose, la prima donna nera queer a vincere un Oscar, come migliore attrice non protagonista per la pellicola West Side Story, fra i peana entusiastici della stampa mondiale.

Non è la visibilità, insomma, che pare mancare alle persone transgender, certamente non negli Stati Uniti, sia pure tranquillo il loro presidente.

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