La riflessione sul suicidio di giovani

Trasmettiamo in totale la riflessione di Mariagrazia Sarno, laureata in Psicologia clinica presso la seconda università degli studi di Napoli, specializzanda in neuroscienze comportamentali: prevenzione, neuropotenziamento e neuroriabilitazione. Si occupa di progetti per preadolescenti e adolescenti in ambito educativo e scolastico; di sostegno alla genitorialità; di supporto alla figura del caregiver in ambito delle malattie neuro -degenerative; di supporto psicologico all'ammalato e al caregiver nell'ambito delle cure palliative.

suicidio

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“Giornata internazionale per la prevenzione del suicidio: questo è l’argomento, su cui mi è stato chiesto di condividere una riflessione. Spero, di accostarmi a tale tema con delicatezza, con rispetto per coloro che hanno vissuto e che vivono tale sofferenza, ma allo stesso tempo, con chiarezza!

Guardando alla nuova generazione, ai nostri adolescenti che potremmo definire come età tradita…assistiamo a processi educativi e di sguardo diverso rivolto ai bambini, che sempre più si presenta come non adeguato, adattandosi alle esigenze dei grandi e sempre meno a quella dei piccoli (in famiglia, a scuola) non trovando corrispondenza nel tempo dell’adolescenza.

Due sono gli aspetti da cui vorrei partire, nella mia riflessione: adultizzazione nell’infanzia e infantilizzazione nell’adolescenza. Oggi i bambini, hanno molto più tempo per essere ascoltati in famiglia, se pensiamo ai racconti dei nostri nonni, che molto spesso, il tempo trascorso con i figli era quel ritaglio brevissimo, il saluto della notte, perché non ancora finito un turno di lavoro ne iniziava un altro.

Ma ascoltiamo davvero?! E’ difficile sapere, quello che hanno da dirci, come direbbe la nostra seconda figlia, di nove anni, ascoltare: è essere capaci di sentire, non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi, con il cuore. Ritengo, che la semplicità di questi gesti vada ripristinata, in una società in cui si è molto di più protesi, concentrati a rimuovere la fatica, il dolore, la sofferenza… la morte.

Abbiamo, davvero pensato che allontanando ciò che insito, nello stesso dono della vita: la sofferenza (una nuova creatura, viene al mondo, con le doglie del parto della madre e, le ansie d’attesa del padre) avremmo potuto, proteggere e garantire un futuro migliore, alle nuove generazioni? In realtà così facendo, li abbiamo disarmati!!

Soprattutto nella pandemia dove si è tanto parlato della morte, ma abbiamo in realtà distolto, allontanato lo sguardo da essa, come ad esorcizzarla, ed è rimasta la paura, sommersa! È fondamentale parlare del tema del suicidio, della sua ideazione, perché è importante sapere che ciò, non ne aumenta il fattore di rischio, non in stiga al drammatico gesto; il suicidio non è, solo, indice di una psicopatologia mentale; il suicidio è il tentativo di non impazzire di dolore.

La psicopatologia come la progettualità suicidaria, il ritiro sociale, i disturbi alimentari, non sono malattie che riguardano solo, un tempo della vita: l’adolescenza, ma sono forme di espressione di un disagio interiore terribile, che dipende da tantissime variabili, che ti spingono a trovare soluzioni talvolta estreme, ed è proprio per questo che bisogna parlarne!

Nel campo clinico, è importante una non banalizzazione del gesto, che può essere derubricato, definito come gesto dimostrativo, ma sempre il sintomo ha un intento dimostrativo! I nostri ragazzi, con tali gesti, vogliono mostrare il dolore, che non riescono a verbalizzare, che è percepito, che esiste e desiderano lenire, tale dolore mentale. Il fattore di rischio più importante, è il gesto, che con molta la probabilità potrebbe essere ripetuto, non c’è una relazione stretta tra intenzionalità del suicidio e gravità del gesto, bisogna stare molto attenti a non banalizzare, minimizzare.

Tale attenzione ne abbassa il fattore di rischio, permette di riconoscere e dare ascolto ad un pensiero che non è confessato, perché percepito con vergogna. la modalità elettiva dell’espressione del disagio giovanile, oggi, sono gli attacchi al corpo.

Dobbiamo insegnare ai nostri figli a restare nel dolore e nella conoscenza di esso, come parte della vita. La mentalizzazione del corpo, che i ragazzi vivono nella adolescenza è caratterizzata dalla fine della onnipotenza, peculiarità di un pensiero del bambino (che teme, la morte dei suoi genitori). La gran parte dei comportamenti a rischio, degli adolescenti è proprio legata a questa consapevolezza: la morte esiste.

Il suicidio non è motivato da una sola causa esterna, la condizione che motiva tale atto, si può sviluppare non solo in un passato drammatico, ma anche e soprattutto dallo smarrimento, percepito molto spesso (soprattutto oggi, in un tempo post pandemia) dall’adolescente, dinanzi ad un futuro enorme che non riesce a leggere ed in cui non percepisce un luogo dove essere atteso, accolto!

La pandemia, ha esacerbato una modalità di espressione, di una realtà di disagio, già preesistente: il ritiro sociale, i disturbi alimentari, i gesti di auto-lesione. I tentativi di suicidio sono la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali, che già esistevano prima, della pandemia stessa.

Dunque altro fattore di rischio suicidario, è considerare la pandemia, come un evento d’allontanare, da soffrire e basta, non come un’occasione di crescita, di sviluppo: è importante riappropriarsi del senso della vita! I nostri figli hanno desiderio di essere accolti, da una cultura adulta che non abbia paura, di porre domande che indagano sulla fragilità, mascherata da una ostentata sicurezza-oppositiva-provocatoria, propria di un’interiorità che cerca appartenenza!”

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