Il «desexing» della lingua, l’imposizione di un vocabolario che si vorrebbe “neutro”, passato attraverso il candeggio del politically correct che cancella i termini «donna» e «madre» a vantaggio delle «persone con vagina» e degli «individui che partoriscono», per un malinteso senso di delicatezza o piuttosto per il timore fondato di essere altrimenti trascinati in tribunale, ha dimostrato di comportare conseguenze severe per esempio in ambito medico e ospedaliero.
L’articolo Effective communication about pregnancy, birth, lactation, breastfeeding and newborn care: the importance of sexed language, pubblicato pochi giorni fa sul periodico dedicato alla salute femminile Frontiers in Global Women’s Health e ripreso anche da «iFamNews», rileva come una terminologia imprecisa o inappropriata, adottata sulla spinta delle rivendicazioni delle organizzazioni pro-LGBT+ a fini strumentali, possa avere implicazioni negative nelle politiche che riguardano le donne e i bambini.
La rottura della diade madre-figlio
Durante la pandemia di CoVid-19, tanto per citare un esempio, le Unità di Terapia intensiva neonatale generalmente hanno limitato le visite ai piccoli ricoverati a una sola persona, per un periodo ristretto nella giornata. Nelle strutture ospedaliere in cui il regolamento delle visite faceva riferimento ai «genitori», senza distinguere tra padri e madri né dare priorità alle madri, in un tentativo maldestro di non discriminazione e di “inclusione” che in realtà si rivela escludente, madre e figlio sono stati più spesso separati, con un impatto fortemente negativo in particolare sull’allattamento al seno e sulla relazione tra i due.
Le conseguenze sulla possibilità di allattamento al seno
Molto opportunamente, l’articolo osserva che «[…] è stato a lungo riconosciuto come la lingua giochi un ruolo di rilievo per la protezione [della persona]. Per questo motivo, l’attivismo linguistico femminista degli anni 1970-1980 ha cercato di rimuovere il linguaggio sessista dalla vita pubblica. Le donne erano invisibili, quando i termini “lui” o “uomini” erano usati come impostazione predefinita, contribuendo alla scarsa valorizzazione delle figure femminili nella ricerca, nella politica e nella vita pubblica. Nel contesto attuale di passaggio al linguaggio desex, affermiamo che se le donne e le madri non vengono nominate, è più difficile sostenerle efficacemente. Le “donne” scompaiono nelle “persone” e le “madri” scompaiono nei “genitori”. Questo inevitabilmente cambia il focus».
Ne è un esempio, proprio in relazione all’allattamento al seno di cui sono universalmente noti i benefici da ogni punto di vista, il caso della World Alliance for Breastfeeding Action (WABA), che negli ultimi tempi si è allontanata da un linguaggio che mettesse al centro la madre e ha iniziato contestualmente una campagna per il reinserimento genericamente dei neo-“genitori” nel mondo del lavoro. Si tratta però di uno spostamento che può rivelarsi rischioso, a seconda della politica relativa al congedo parentale del Paese in cui ci si trovi. In quest’ottica, è evidente come il fatto che la WABA sostenga il congedo per i “genitori” piuttosto che per le “madri” diminuisca quella protezione necessaria a sostenere i diritti di allattamento al seno di donne e bambini.
Sempre, quando si tratti di ricerca medica, in particolare riguardo alla riproduzione e riguardo alla cura del neonato, continua l’articolo, «[…] l’uso di un linguaggio e di definizioni precise nella comunicazione e nella progettazione […] è fondamentale. I neo-“genitori” non hanno gli stessi bisogni o le stesse esperienze di salute delle neo-“madri”».
Imperialismo culturale
L’articolo tocca poi un aspetto particolare della questione, affermando come la spinta al «desex language» nasca in special modo negli Stati Uniti, sulla scorta di precise sensibilità e priorità che si sono fatte strada in quel Paese.
Qualora si prenda in esame la salute femminile a livello planetario, però, Paesi in via di sviluppo compresi, «il crescente incoraggiamento, o obbligo, al “desex language” da parte di organizzazioni internazionali o finanziatori con sede negli Stati Uniti o comunque in Occidente può essere percepito non solo come fonte di confusione, ma anche come imperialismo culturale e linguistico. Questo punto di vista è stato recentemente espresso da oltre 250 consulenti per l’allattamento al seno provenienti da 45 Paesi nel Consiglio della Leche League, nota organizzazione di sostegno all’allattamento con sede negli Stati Uniti, che hanno affermato come i cambiamenti nei requisiti linguistici siano stati vissuti come “colonialisti” e “opprimenti”».
Una volta di più, dunque, vengono sacrificati i diritti delle donne e dei bambini, compresi quelli delle popolazioni più vulnerabili, dietro la maschera dell’inclusione e dei diritti di tutti, rispettando in verità solo quelli di alcuni.