Last updated on Maggio 7th, 2020 at 04:02 pm
Martina è una di quelle donne che non hanno vinto il Golden Globe, è una moglie, mamma (di tre ormai “ragazzi”) e giornalista professionista. Fondatrice di #neldialogo, un progetto bellissimo su «l’importanza di cercare il bene comune in un mondo di differenze in continuo contatto», esperta comunicatrice, subitissimo, all’inizio della pandemia, si è mossa per raccontare “l’altra storia”: che la famiglia non è un’istituzione in crisi ma una risorsa, il cui ruolo è fondamentale per il bene comune come la pandemia sta facendo toccare con mano. È nato così #lafamigliachecè, una serie di incontri, chiacchierate semiserie tra Martina e alcune «donne, mogli, mamme, professioniste, che andavano, venivano, uscivano, viaggiavano…. Prima che arrivasse il coronavirus che le ha chiuse a casa». Martina è andata a cercarle, e le ha convinte a «raccontare come sfangano la giornata, come sopravvivano alla clausura domestica anche grazie a quel capitale sociale che stiamo finalmente scoprendo, la #famigliachecè». Tra le intervistate la bioeticista Giorgia Brambilla, l’ostetrica Rachele Sagramoso, la docente e giornalista Stefania Garassini, la psicoterapeuta Federica Mattei. “iFamNews” si è fatto raccontare il suo progetto.
Martina, come ti è venuta l’idea de #lafamigliachecè?
Negli ultimi anni, e fino a poche settimane fa, la famiglia è stata oggetto di un attacco importante: è stata accusata, svuotata, si è tentato di modificarla, nella cavalcata verso un “progresso” fatto di rapporti liquidi, unioni alternative, individualismo spinto, instabilità sociale. La condizione in cui ci troviamo ora sta facendo toccare con mano che senza la famiglia saremmo in difficoltà ben maggiori rispetto a quelle in cui pure ci troviamo. La famiglia sta mostrando il proprio ruolo di capitale sociale di cui tutti stiamo beneficiando: è la prima scuola (e chiunque sia genitore alle prese con la didattica online lo sa benissimo), l’ospedale più vicino, il ricovero per gli anziani, il rifugio alla povertà. Quella famiglia che come struttura sociale appariva ormai superata, obsoleta, sta mostrando il suo concreto contributo alla società, e vediamo tutti questo quanto conta.
In vista di cosa, allora, raccontare #lafamigliachecè?
Per capovolgere la narrativa che la vuole come un problema, un’istituzione in crisi, e anche per lanciare un appello alla politica, affinché riconosca il valore della famiglia e si faccia carico di un sostegno concreto, immediato, reale. E non parla solo di sostegno economico, come auspica un certo associazionismo che pare porsi in forma quasi “sindacale”. Il primo sostegno necessario è quello culturale: riconoscere che, come dice Papa Francesco, la famiglia è la base di ogni sana società e agire di conseguenza per sostenerla con politiche strutturali adeguate. Sapendo che altrimenti, se la famiglia entrerà in crisi, la sua malattia, le sue ferite, contageranno tutti, tanto per usare una metafora chiarissima ai giorni nostri.
In cosa consiste il sostegno che domandi?
Be’, si pensi a quanto sta avvenendo in questi giorni: i figli sono trattati come se non esistessero, da un lato perché la loro istruzione è abbandonata a se stessa o al buon cuore del singolo insegnante; dall’altro perché ai genitori che tornano al lavoro non viene offerta alcuna alternativa su come gestirli, a scuole chiuse, congedi parentali finiti, bonus baby-sitter inesistenti. Il ministro per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, cosa intende fare? Perché le task force sono iniziative di certo ben spendibili mediaticamente, ma, se non risolvono i problemi concreti, restano specchietti per le allodole. Le videochat de #lafamigliachecè danno invece voce alle famiglie che si raccontano: il tessuto sociale regge tramite loro. Allora, anzitutto culturalmente, va affermato con forza il valore di una famiglia che fino a due mesi fa veniva ridicolizzata e distrutta a picconate. Ora è sotto gli occhi di tutti che è proprio sulla famiglia che appoggia tutta la società.
Le donne che hai intervistato, che donne sono?
Donne cristiane che rappresentano “l’altra storia” rispetto alla narrativa che le incornicia nel ruolo di “serie, perfettine, sottomesse, antipatiche”. Su di loro si accanisce infatti spesso la critica alla famiglia tesa a sminuire quella naturale, ma la realtà che emerge dai loro racconti di vita, dal loro modo di essere e di fare, è molto diversa…. Nelle nostre chiacchierate semiserie, testimoniamo che pur con tutte le ferite e le fatiche che certamente ha, la famiglia resta oggi la struttura portante. Ho intervistato mogli, mamme, lavoratrici, professioniste molto simpatiche e per nulla sottomesse, che mi hanno raccontato la loro vita familiare molto “normale”, vera, e che sono consapevoli della grandezza e preziosità del loro ruolo. Ho scoperto che l’immaginario della donna di casa, che trascorre le giornate tra scopa e spazzolone, non corrisponde al vero: ci sono mariti che cucinano, altri che collaborano in vari modi (rivelandosi ad esempio specialisti nel caricare la lavastoviglie – pare grazie al cervello maschile, più organizzato e metodico). Insomma è già in atto, al di là di ogni stereotipo, una reale divisione dei ruoli. E cosi si smonta anche la cornice della subordinazione della donna: la famiglia, di fatto, è molto spesso luogo di comunione e reciprocità tra i sessi.
Quale messaggio desideri arrivi, chiaro e forte?
Tra gli “ultimi” che da più parti vengono indicati come bisognosi di aiuto e di sostegno spicca proprio la famiglia. Eppure questa società naturale dà e fa per il bene comune, educa alla diversità (perché è entro la famiglia che in prima battuta i figli scoprono le differenze), protegge dai centri di potere ideologico e finanziario, è fonte di risparmio economico per la collettività intera. Soprattutto la famiglia, essendo per natura generativa, rappresenta la soluzione a uno dei più gravi problemi dell’Italia oggi: la denatalità. Non fosse che per questo, la famiglia è sul serio il futuro.
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