L’UNFPA monopolista della contraccezione in Africa

Il caso clamorosamente negativo dello Zambia. Ma anche la buona notizia: mancano soldi per la «cultura di morte»

Bandiera dello Zambia

Image by David Peterson from Pixabay

Last updated on Giugno 30th, 2021 at 04:04 am

Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), che si definisce «sexual and reproductive health agency» dell’ONU, riporta sul proprio sito web lo strategic plan del triennio 2018-2021, perfettamente in linea con Agenda 2030 e i 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, in particolare con l’Obiettivo 3.

L’Obiettivo 3 afferma di voler raggiungere la salute e il benessere per tutti e a tutte le età, ma occorre ricordare che, per quanto riguarda le ragazze e le donne, l’espressione «salute sessuale e riproduttiva» significa, ormai in ogni contesto e a ogni latitudine, semplicemente contraccezione e aborto.

Nello Zambia, per esempio, l’UNFPA «fornisce almeno il 60% della contraccezione per il settore pubblico», fra gli altri attraverso il centro MSI Reproductive Choices della capitale Lusaka. MSI Reproductive Choices era noto in precedenza come Marie Stopes International, dal nome della celebre paleontologa (ed eugenista) britannica (1880-1958), un’organizzazione talmente pro-choice che di scelte alle donne ne lascia “addirittura” due: non concepire oppure abortire.

Lo Zambia, peraltro, è uno dei Paesi africani che offrono maggiori aperture legislative alla liceità dell’interruzione volontaria di gravidanza, con implicazioni spesso criminali, come accusava un missionario italiano già nel 2013.

Oggi MSI Reproductive Choices si trova a dover fronteggiare un calo imprevisto di sovvenzioni, dovuto alla crisi economica imperante determinata dall’epidemia di CoVid-19. Almeno questo è ciò che ha dichiarato il premier britannico Boris Johnson, annunciando il taglio dell’85% dei fondi destinati dal Regno Unito all’UNFPA: circa 180 milioni di dollari statunitensi.

Neppure l’ex presidente statunitense Donald J. Trump fece altrettanto, nel 2017, con i tagli operati nel contesto «di un ampio ritiro del sostegno degli Stati Uniti ai servizi di salute sessuale e riproduttiva a livello globale, da cui il mondo si sta ancora riprendendo».

Lo racconta un articolo di Mail&Guardian, Africa’s best read, che riprende un pezzo comparso su The Continent, settimanale di approfondimento ed eco di temi riguardanti l’Africa.

L’UNFPA, secondo l’articolo, «acquista prodotti per la salute riproduttiva – come impianti contraccettivi e medicinali per prevenire le morti materne – per 150 Paesi. In 26 di questi, compreso lo Zambia, l’agenzia delle Nazioni Unite è il principale fornitore di contraccettivi. In altri 22 è l’unico acquirente». In pratica un monopolio.

Dopo aver affermato che almeno la metà delle donne nello Zambia fanno uso di contraccezione, si continua con la dichiarazione che, però, una donna sposata su cinque non lo fa, ma vorrebbe. Per proseguire sostenendo che MSI offrirebbe a costoro, per colmare il gap, cliniche mobili e «teen friendly services», servizi dedicati alle adolescenti.

«iFamNews» si è appassionato all’Africa e ha già parlato di “cliniche mobili”, quando ha raccontato la fine dolorosa del diplomatico italiano Luca Attanasio, ucciso in Congo il 22 febbraio con la scorta e l’autista: quell’ambulanza, però, salva i bambini. Queste altre, invece, si teme proprio di no.

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