Last updated on Febbraio 26th, 2021 at 01:19 am
«Ma non è vero, guardi, ne sono certo. Luca non si è mai convertito all’islam. Marocchina e musulmana è la moglie, Zakia Seddik, fondatrice dell’associazione umanitaria Mama Sofia. Per darle sostegno e per rispetto, Luca osservava il Ramadan, questo sì. Per il resto, era cattolico e praticante, ogni domenica andava a Messa alla Nunziatura apostolica, a Kinshasa. Era la più vicina a casa sua».
Esordisce così, all’inizio di una lunga telefonata, Emanuele Gianmaria Fusi, presidente della Fondazione Novae Terrae, che per quindici anni, fin dai tempi in cui si sono conosciuti a Ginevra, è stato amico di Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo dopo essere stato console in Marocco e viceambasciatore ad Abujia, in Nigeria.
Attanasio è stato ucciso lunedì 22 febbraio nella boscaglia che circonda Goma, a circa 2500 chilometri dalla capitale, dove si trovava in missione sotto l’egida delle Nazioni Unite nell’ambito del World Food Programme (WFP), diretto a una scuola destinataria di aiuti alimentari.
Quella della conversione all’islam non è l’unica notizia che Fusi trova errata e dissonante. Ad “iFamNews” dice di non concordare con altri aspetti del ritratto che alcuni media stanno tracciando del diplomatico italiano, 43 anni, padre di tre bambine piccole, i cui funerali saranno celebrati sabato 27 febbraio a Limbiate, in provincia di Monza e Brianza, dall’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini. Una Messa in memoria sarà celebrata domenica nella cattedrale di Kinshasa.
Dottor Fusi, lei ha conosciuto bene e ha frequentato a lungo, sia in Italia sia in Africa, l’ambasciatore Attanasio. Come lo descriverebbe?
Luca era una persona straordinaria, un professionista molto in gamba, una mente brillante. Non sarebbe stato il più giovane ambasciatore della Repubblica italiana, altrimenti. Ad Abujia, era stato chiamato direttamente da Fulvio Rustico, allora ambasciatore italiano in Nigeria. In Congo si occupava fra l’altro di accompagnare le aziende interessate a investire e a cooperare nel Paese e seguiva progetti di sviluppo importanti.
Era anche un cultore appassionato di arte africana, che collezionava, una passione che condividevamo. Ha salvato molte opere lignee dalla distruzione e aveva avviato un progetto di raccolta e catalogazione in collaborazione con il Museo centrale di Arte africana di Kinshasa.
Riguardo il suo impegno umanitario, di cosa si stava occupando?
La moglie di Luca, Zakia, ha fondato l’associazione umanitaria Mama Sofia, che ha preso il nome dalla loro bambina più grande. Dapprima l’associazione lavorava in Nigeria, poi con il trasferimento della famiglia nella Repubblica Democratica del Congo ha spostato il quartier generale a Kinshasa. Tramite Mama Sofia e nel suo ruolo istituzionale Luca si preoccupava in special modo di bambini e di famiglie.
Forse non tutti conoscono la legge sanitaria del Paese, che prevede che chi viene ricoverato in ospedale vi sia trattenuto finché non paga le spese per le cure o l’intervento. Capita spesso, purtroppo, che le donne non abbiano di che pagare per il parto e che scappino dalle strutture abbandonando lì i bambini appena nati. Ecco, Luca si occupava di questo, di liberare mamme e bambini da questa vera e propria prigionia e di far accogliere i piccoli rimasti soli in strutture adatte a curarli e proteggerli.
In quale altro modo l’ambasciatore Attanasio si occupava dei bambini congolesi?
Bisogna tenere presente che nel Paese, martoriato dalla guerra e dalla miseria, vi sono qualcosa come 100mila bambini di strada, bambini abbandonati, che vivono per le vie di Kinshasa, di Goma, di Bukavu, prede facilissime per i mercati più turpi che si possano immaginare: bambini da vendere come schiavi, o per essere avviati alla prostituzione, o per il traffico di organi. Luca ha contribuito con don Maurizio Canclini dell’associazione Cenacolo all’allestimento di un’ambulanza che gira di notte per le strade della città, un’ambulanza di strada appunto, che durante le ore notturne, quando i bambini rimasti all’aperto sono solo i reietti, presta loro soccorso, cure, aiuto.
In gennaio aveva preso il via un nuovo progetto: quello di una chiatta-ambulanza sul fiume, una chiatta-ospedale, che potesse percorrere distanze più lunghe e arrivare navigando in zone distanti dalla città e difficilmente raggiungibili a causa delle condizioni disastrate delle strade, per portare aiuto alla popolazione con cadenza regolare, una volta alla settimana per esempio.
Qualcuno, in questi giorni, ha lasciato intendere che forse Attanasio non abbia usato la prudenza necessaria per muoversi in un territorio tanto difficile e complicato, rimanendone vittima…
Ma figuriamoci. Luca era giovane, non sprovveduto. Conosceva l’Africa e le sue tragedie, sapeva benissimo come comportarsi e mai avrebbe messo a rischio inutile né se stesso né soprattutto i ragazzi della sua squadra…
Sì, nello scontro infatti sono rimasti uccisi, come oramai tutti sanno, anche il carabiniere di scorta Vittorio Iacovazzi e l’autista Mustapha Milambo…
A Kinshasa Luca aveva a disposizione almeno un paio di auto blindate, e le usava. Il personale che lo accompagnava era preparato e competente. Il disastro è accaduto a Goma, a migliaia di chilometri dalla capitale, dove Luca era giunto in aereo e dove aveva trovato ad attenderlo un mezzo messo a disposizione dalle Nazioni Unite nell’ambito del progetto umanitario che stavano promuovendo. Forse la macchina organizzativa non ha funzionato a dovere, forse qualcuno non ha calcolato correttamente il rischio. Non Luca, questo è certo.
Naturalmente la vicenda, oltre che dolorosa, è estremamente complessa. Lei che idea si è fatto?
È difficile dirlo. Conosco bene l’Africa, ci vado da trent’anni, ma lunedì io ero al sicuro in Italia. Sono persuaso che si sia trattato di un rapimento finito male, in un Paese in cui spesso la vita umana vale per ciò che viene pagata, forse nella concitazione dello scontro, ma è evidente che non posso affermare nulla di più.
Qualcuno fa intendere che non sia stato abbastanza prudente, qualcuno sostiene che si fosse convertito all’islam, qualcuno ipotizza ragioni oscure per il suo assassinio. Nulla di tutto ciò, secondo Emanuele Fusi. Luca Attanasio era semplicemente una persona perbene, che ha pagato caro per ciò in cui credeva.
Le immagini riportate nell’articolo appartengono alla raccolta privata di Emanuele G. Fusi.
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