Freeda è un media network che propone contenuti in inglese, italiano e spagnolo su Facebook, Instagram, Linkedin e YouTube, improntati a celebrare, come recita il sito web, «i risultati personali, l’espressione di sé e la sorellanza».
È una rete chiaramente e dichiaratamente femminista e sedicente pro-choice che promuove fra l’altro l’aborto come diritto e l’ideologia LGBT+.
Eppure, come l’orologio rotto che riesce due volte al giorno a segnare l’ora giusta, anche il profilo Instagram di Freeda pubblica con sgomento la denuncia della notizia della contraccezione forzata cui sono costrette le donne uigure dello Xinjiang, la grande Regione autonoma (sic) della Repubblica Popolare Cinese abitata dalla minoranza etnica degli uiguri, di religione musulmana, vittime di quello che anche lo Uyghur Tribunal di Londra, tribunale indipendente con sede nel Regno Unito, ha riconosciuto tristemente come un vero e proprio genocidio. E questo nonostante la scarsa rilevanza che tale tragedia riveste agli occhi di tanta parte del mondo, per motivi che suonano sempre più strumentali.
«iFamNews» ha trattato più volte il tema dell’inverno demografico cinese, determinato dalla «one child policy», la politica del figlio unico, e dai successivi tentati correttivi.
Il caso dello Xinjiang, che i suoi abitanti uiguri preferiscono chiamare Turkestan Orientale, è però ancora differente: qui, nel tentativo di fare piazza pulita di un’intera popolazione, la violenza contro le donne raggiunge il culmine dell’orrore.
Con gli strumenti che ha bene imparato a usare fin dal 1979, anno in cui ha implementato il divieto per le donne cinesi di mettere al mondo più di un figlio, il regime dispotico neo-post-nazional-comunista perseguita oggi le musulmane uigure costringendole con la forza all’aborto, alla sterilizzazione e alla contraccezione. L’ammorbidimento parziale applicato negli ultimi anni delle regole coercitive che permettono alla popolazione han, etnia maggioritaria in Cina, di avere oggi anche più di due figli, nello Xinjiang non risparmia alle donne uigure la reclusione immotivata nei campi di detenzione, veri e propri campi di lavoro di crudeltà disumana, né gli stupri sistematici perpetrati in carcere, né, appunto, il controllo della fertilità da parte dello Stato con una metodologia violenta e persecutoria.
Contraccezione obbligatoria, sterilizzazione forzata, aborti obbligati in qualsiasi momento venga scoperta una gravidanza “vietata”. Presto non nascerà più nessun bambino, nello Xinjiang.
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