L’ora della transizione transrazziale

Mi sento, dunque lo sono. La follia galoppa con l’«identità di genere» oltre l’«identità di genere»

Image by Ernest Roy from Pixabay

Last updated on Luglio 29th, 2021 at 02:21 am

Qualcuno dovrebbe parlare con «fenomeni» e “artisti” vari, che durante i Pride in giro per l’Italia hanno sbeffeggiato chi non la pensa allo stesso modo e in special modo i cristiani, e dovrebbe spiegare loro che sono in realtà veri e propri dilettanti.

Potrebbe farlo Oli London, per esempio. Influencer, britannico, questo trentenne, oltre a dichiararsi non binario, afferma di avere effettuato, dopo 18 interventi chirurgici in 8 anni al modico costo di 170mila euro, la transizione “transrazziale” da europeo a coreano.

Quindi, oltre a esigere che nei propri confronti si usi il pronome they/them (in italiano, scrivendo qualcuno userebbe l’asterisco o l’ormai noto simbolo schwa, parlando invece proprio non saprei), Oli ora si fa chiamare Jimin, come la star del gruppo pop coreano BTS cui desiderava ardentemente assomigliare.

Si sente coreano, si è sottoposto a chirurgia plastica per diventarlo, pertanto è coreano. Non fa una grinza.

Gira una storiella che ha a che fare con lo scrittore statunitense Ernest Hemingway (1899-1961), il Daiquiri di El Floridita e il Mojito de La Bodeguita del Medio, a La Habana de Cuba. Narra la leggenda che Hemingway bevesse questi cocktail a qualsiasi ora del giorno e della notte, affermando tranquillamente però che, se non lì, da qualche altra parte nel mondo fossero comunque le 17, l’ora dell’aperitivo. L’attore comico Red Skelton (1913-1997) ha poi reso popolare la frase «It’s five o’clock somewhere» fin dal 1959. Musicisti e cantanti vari hanno proseguito con il medesimo filone.

 Qui, ora, sono le 9 e un quarto del mattino: un gin tonic, per me, per favore.

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