«Nel 2000 la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato il mifepristone come metodo per praticare l’aborto. Assunto insieme al misoprostolo, la combinazione dei due farmaci è nota come aborto farmacologico o “pillola abortiva”. Una nuova ricerca del Guttmacher Institute mostra che 20 anni dopo la sua introduzione, l’aborto farmacologico rappresenta più della metà di tutti gli aborti negli Stati Uniti d’America».
È questo l’esordio del rapporto del Guttmacher stesso sulla ricerca, attualmente ancora in corso e che si concluderà alla fine del 2022, registrando i dati del 2019 e del 2020. Tale “censimento”, ripreso anche dal quotidiano The Guardian, viene effettuato ogni tre anni su tutti i “fornitori” di aborto nel Paese e attesta che nel 2020, primo anno della pandemia, primo anno in cui la FDA ha consentito la spedizione di «kill pill» alle donne per tutta la durata dell’emergenza sanitaria, l’aborto farmacologico ha rappresentato il 54% del totale delle cessazioni di gravidanza. La decisione della FDA ha significato che le madri abbiano potuto abortire anche senza effettuare alcuna visita di persona in una struttura sanitaria, con la scusa di non «[…] rischiare un’esposizione non necessaria al CoVid-19» e l’aborto on demand è diventato anche online.
È significativo osservare che nel 2017, data dell’ultima analisi del Guttmacher prima di quella del 2022, la percentuale dei ricorsi all’aborto farmacologico era del 39%, cioè notevolmente inferiore.
Attualmente, l’aborto farmacologico è approvato e spacciato come «comodo e sicuro» fino a 10 settimane di vita del bambino nel grembo materno. Tuttavia, continua il rapporto del Guttmacher Institute, «[…] ulteriori ricerche mostrano che l’’utilizzo oltre le 10 settimane è sicuro ed efficace e alcuni fornitori somministrano l’aborto farmacologico “off label” dopo quel momento della gravidanza». In gergo tecnico si parla di off-label, letteralmente «fuori etichetta», quando un farmaco sia utilizzato per impieghi diversi da quelli per i quali è stato autorizzato. Ma se l’escamotage può in altri casi risultare benefico e salvare una vita, con l’uso di mifepristone e misoprostolo invece esso dichiaratamente e volutamente uccide, prima e dopo le 10 settimane.
Le motivazioni con cui l’aborto farmacologico viene sponsorizzato nel rapporto sono addirittura agghiaccianti: esso infatti «[…] può essere completato al di fuori dell’ambiente medico, ad esempio nel comfort e nella privacy della propria casa. Le pillole possono essere fornite in una clinica o consegnate direttamente […] tramite posta. Quest’ultima opzione può essere particolarmente utile nell’affrontare gli oneri logistici che spesso si devono affrontare quando bisogna visitare un fornitore per ottenere assistenza, come organizzare la cura dei figli e le assenze dal lavoro e pagare i costi di trasferta. E, nelle aree del Paese rurali o scarsamente servite, l’aborto farmacologico può evitare centinaia di chilometri di viaggio». Facile, comodo, “pulito”. Peccato che oltre a uccidere il bambino nel grembo lasci le donne ancora più sole e vulnerabili, minandone la salute in modo talvolta irreversibile.
Né è finita qui. «I dati preliminari», riporta il Guttmacher Institute, «riflettono le informazioni ottenute da circa il 75% delle cliniche statunitensi che hanno fornito farmaci abortivi nel 2020; è probabile che i dati finali […] corrispondano strettamente alla stima attuale. Questi conteggi includono solo la fornitura di farmaci abortivi supervisionata dai medici e non tengono conto dell’aborto autogestito». La realtà potrebbe dunque essere anche peggiore di quanto si tema.
Commenti su questo articolo