Due giorni fa, con una conferenza stampa all’Università LUMSA di Roma, è stato presentato il rapporto I costi di applicazione della legge 194/78 in Italia, realizzato grazie al lavoro congiunto di economisti, medici e giuristi, che documenta il peso anche economico dell’applicazione delle legge che regolamenta l’aborto nel nostro Paese.
«iFamNews» ne ha dato notizia e ha evidenziato fra l’altro come vi siano dei costi legati ai pericoli per la salute e quindi alle cure per la madre che si sia sottoposta ad interruzione volontaria della gravidanza. Cifre elevate, benché sottostimate, che per quarant’anni sono servite per esempio per guarire i danni e le complicanze sopravvenuti in seguito ad aborto chirurgico, e negli ultimi tempi anche a quelli che comporta l’aborto farmacologico.
Perché i rischi per la donna, in entrambi i casi, esistono. Sempre che si voglia ignorare una conseguenza sicura, cioè che il nascituro muore di certo.
Numerosi studi, accreditati a livello internazionale, testimoniano il legame fra aborto e tumore al seno. Benché la letteratura scientifica non sia unanime, tuttavia tali studi esistono e non tenerne conto sarebbe quantomeno imprudente, come evidenziava già nel 2018 il professor Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice Perinatale – Centro per le Cure Palliative Prenatali del Policlinico Gemelli di Roma e presidente dell’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici (AIGOC), non a caso uno degli estensori del documento presentato alla LUMSA.
Altri studi si concentrano sull’incidenza di complicanze riscontrate sull’esito delle gravidanze successive a un aborto: per esempio il parto pretermine, l’incompetenza cervicale da trattarsi con cerchiaggio, il complesso insieme di disfunzioni che possono coinvolgere la placenta, cioè placenta previa, distacco o ritenzione di placenta, infine l’emorragia post-partum.
Terzo aspetto, quello legato all’infertilità: l’aborto può impedire che una donna riesca in seguito a rimanere nuovamente incinta, come per altro pare suggerire la Planned Parenthood, che fa firmare alle pazienti che intendano sottoporsi a interruzione volontaria della gravidanza un modulo di “scudo penale” a scarico di responsabilità dell’azienda assolutamente, astutamente completo.
Infine, l’aborto ha un impatto forte sulla salute psicologica e mentale della donna che vi ricorra, rileva sempre il professor Noia, citando numerosi studi internazionali che confermano il dato, né del resto la letteratura medica in proposito l’ha mai smentito, checché ne dica chi personalmente sostiene di stare «benissimo».
Le parole «salute sessuale e riproduttiva», strombazzate in Italia e nel mondo da chi si picca di proteggere donne e bambini, hanno un significato noto ormai anche ai muri, anzi due: uno è «contraccezione», l’altro è «aborto». Ma quale salute può veicolare un sistema elevato a «strage di Stato», che ha procurato in quattro decenni 6 milioni di morti?
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