Last updated on Ottobre 10th, 2021 at 03:50 am
In Italia le elezioni sono sempre un gran bel gioco, perché mettono d’accordo tutti. Tutti infatti vincono sempre. Basta sentire i commenti a caldo e quelli a freddo: nessuna differenza, di sconfitti non ce n’è mai. L’unica diversità di opinioni è quella che si registra fra ceto politico e addetti all’informazione. I primi dicono tutti “abbiamo vinto noi”, invece per i secondi hanno sempre perso “gli altri”. Ma, come in ogni buona addizione, pur cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non muta. Un gioco bellissimo, e deprimente.
Perché in verità chi ha perso le elezioni c’è e si chiama Italia. A un di presso fra poco tornerà prepotente il partito del CoViD-19, ma soprattutto continuerà a marcare visita la politica: la politica come missione, persino come passione, la politica come amministrazione in vista del bene comune. In compenso abbonderanno le amministrazioni dedite al cambio di lampade bruciate nei fanali lungo le strade del corso, purché siano a basso consumo.
Sì, perché, per quanto altisonanti appaiano gli impegni e per quante parole grosse siano circolate, quelle elette domenica e lunedì scorsi e quelle che lo saranno fra una quindicina di giorni sono soltanto amministrazioni della lampadina fulminata se alla propria politica non infilano finalmente i pantaloni. Cioè se alla politica non fanno affrontare le priorità del Paese. E le priorità del Paese non sono il CoViD-19 o il raffreddore, non sono quel che aggrada a partiti e giornali, influencer e starlette, non sono nemmeno quel che piace ad «iFamNews». Le priorità del Paese sono le questioni che (altrimenti non sarebbero priorità) vengono prima di ogni altra questione ontologicamente, logicamente e cronologicamente. Vita, famiglia e libertà.
Si dice e si ripete che la politica, essendo l’arte di amministrare una nazione, nazione che ha necessità plurime, non possa ridursi a un single issue ripetuto un po’ meccanicamente e molto massimalisticamente. E che quindi non si possa fare la politica di un Paese intero, che ha necessità sociali, economiche, commerciali, diplomatiche, culturali, e così via, soltanto remenando la questione dell’aborto e della famiglia eterosessuale. Assolutamente sbagliato.
Essendo la politica l’arte di governare un Paese per intero con e in tutte le sue sfaccettature, se la politica non pone al principio e al fondamento le questioni prioritarie, principiali e non negoziabili, come farà a orizzontarsi nella selva dei dossier negoziabili e possibili, spesso pure improbabili, dove le cose possono essere meno limpide?
Se la politica di un Paese non mette al principio e al centro la vita e la famiglia e la libertà, come farà a scegliere quando si presenteranno offerte di soluzioni concrete e possibili?
Se un marinaio non ha una bussola, un sestante, una stella polare come caspita naviga? Se gli va bene lo fa a vista, cioè come un miope che remi nel mar dei sargassi di una buia notte di nebbia fra irti spuntoni di roccia, sirene assetate di sangue e mostri marini da favola. Che è esattamente quel che avviene tutti i giorni in troppi Paesi del mondo, anzitutto in Italia.
Se va bene, ho scritto. Perché se va male, invece di essere lasciato tutto alla sublime italica arte dell’arrangiarsi, tutto è piuttosto frutto di disegno: il quale, visti esiti e frutti, immaginiamo perverso.
Se un governo non mette al centro vita e famiglia e libertà, al centro metterà altro. Quindi se non mette al centro vita e famiglia e libertà, nel momento in cui dovrà operare scelte sociali, economiche, commerciali, diplomatiche, culturali, e così via, metterà al centro altro. Per questo è indispensabile che vengano invece messe al centro la vita e la famiglia e la libertà.
La vita è il primo di tutti i diritti umani: i defunti sono infatti soltanto un bel ricordo. La famiglia è la cellula, l’anima e il pilastro di ogni società. La libertà è la caratteristica precipua dell’uomo, quella, pensano i credenti, che lo avvicina a Dio.
E non è così perché piace al sottoscritto, a qualche anima bella o a qualche prete seppur altolocato: è così perché le società che sono costruite contro la vita e contro la famiglia e contro la libertà ottengono esiti che sono sotto gli occhi di tutti, e i governi che governano senza porre al centro vita e famiglia e libertà sono governi che si rivoltano all’umano: è sotto gli occhi di tutti.
Mettere oggi al centro vita e famiglia e libertà significa affrontare l’inverno demografico prendendolo per le corna, significa combattere radicalmente l’«utero in affitto», significa sovvenire all’emergenza educativa che preme, significa svoltare decisamente sul piano antropologico, significa debellare la propaganda gender nelle scuole e altrove, significa dire basta alla droga che si vende fra negozietti e boschetti, significa fermare l’azione a tenaglia che vorrebbe legalizzare la soppressione prematura delle persone, significa combattere la piaga dell’omicidio dei piccoli ancora nel ventre materno. Significa che anche i sindaci e le giunte comunali, non solo i governi centrali e di Regione, hanno diversa voce in capitolo su molti di questi temi.
Ma la politica, nazionale e locale, pensa ad altro. Ripeto: i risultati si vedono.
Nelle urne del 3 e 4 ottobre è mancata una politica che si offrisse per mettere al centro e davanti ciò che conta perché è parametro di ogni intervento e nelle urne dei ballottaggi imminenti continuerà a mancare. No, non la paroletta di circostanza, il lip service, il contentino a piè di programma: ma la vita e la famiglia in libertà come Colonne d’Ercole e muri portanti, assi e architravi della nostra Italia.
Sono mancate quelle e sono mancati molti voti. Non dico, perché non lo credo, che i voti siano mancati perché sono mancate quelle proposte principiali. Rilevo soltanto la concomitanza di due fenomeni gravi, latitanza totale degli unici temi che debbono appassionare la politica e disaffezione degli italiani a una politica parolaia. Mi daranno del populista, ma li ho già perdonati perché non sanno quello che dicono. In realtà noto solo un Paese in vertiginosa discesa, che ha appena compiuto un altro giro di bolgia.
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