Last updated on marzo 9th, 2020 at 03:32 am
Sempre più facile, anche in Italia, per una coppia sterile (intrinsecamente o per accidente) ricorrere alla pratica della maternità surrogata: nonostante nel nostro Paese sia vietata per legge, la proibizione è facilmente aggirabile per chi abbia la possibilità di recarsi all’estero. Sempre più diffusi, tra l’altro, sono i casi in cui i giudici decidono di approvare le «trascrizioni» degli «atti di nascita» di bambini generati all’estero sia in caso di legame genetico con entrambi i “genitori committenti” sia in sua assenza. Esiste anche la possibilità di ottenere un provvedimento di “adozione in casi particolari”, escamotage cui è ricorso l’ex senatore del partito democratico Sergio Lo Giudice, attivista LGBT+, che, con soddisfazione, afferma «è ufficiale: i miei figli finalmente hanno due papà». Il principio “portante” sarebbe quello secondo il quale la genitorialità intenzionale è valida tanto quanto quella biologica e quella adottiva: chiunque può diventare genitore, insomma, basta che ne manifesti l’intenzione.
Il percorso da seguire è ormai semplice. Il web pullula di pubblicità di agenzie specializzate, per esempio la Vittoria Vita Surrogacy Agency, che propone varie mete: Ucraina, Stati Uniti d’America, Georgia e Israele. Nelle “istruzioni per l’uso” del cosiddetto «metodo più popolare di cura della sterilità» (come dire che la cura per il mal di stomaco consisterebbe nel fatto che qualcun altro digerisca il cibo che vorremmo mangiare noi…) si sottolinea che «non può usare della maternità surrogata in Israele […] la coppia non ufficialmente sposata o le persone singole; le famiglie quando l’uomo ha uno sperma che […] non può essere usato per la fertilizzazione; le coppie omosessuali». Grandi reazioni aveva suscitano, infatti, nel luglio 2018, la decisione del parlamento monocamerale israeliano, la Knesset, di estendere la maternità surrogata anche alle donne single, ma non alle coppie omosessuali e agli uomini single – così come sta accadendo in India in questi giorni –, reazioni sfociate nella prima manifestazione LGBT+ di livello nazionale. Al grido «It’s just not right that some people can’t have kids» («È semplicemente ingiusto che alcune persone non possano avere bambini»), la comunità omosessualista israeliana ha, a più riprese, protestato contro la Knesset, ottenendo alla fine un risultato importante: lunedì 2 marzo un pronunciamento dell’Alta Corte israeliana ha stabilito, con decisione unanime, l’incostituzionalità della legge che vietava l’utero in affitto a coppie omosessuali e a uomini single, concedendo all’aula parlamentare un anno di tempo per adeguare la legge alla sentenza. Escludere determinate categorie di persone dalla pratica della maternità surrogata, come fa la legge attuale, danneggerebbe infatti «in modo sproporzionato il diritto all’eguaglianza e alla genitorialità di questi gruppi». Per questo tale regolamentazione è stata definita «illegale», con grande soddisfazione del gruppo Avot Ge’im, «Padri orgogliosi»¸ che ha definito la giornata di lunedì «drammatica ed emozionante, in cui Israele finalmente avanza verso la famiglia delle nazioni più avanzate del mondo, quando si tratta di diritti LGBT».
La decisione dell’Alta Corte è arrivata proprio nei giorni delle elezioni. Vista l’instabilità politica (si tratta della terza tornata elettorale in meno di dodici mesi), il massimo tribunale israeliano ha preferito mettere le mani avanti: se lo Stato non riuscisse a modificare la legge entro un anno, la stessa verrà revocata o interpretata in modo tale da «eliminare gli effetti discriminatori». Ennesimo colpo di mano annunciato dei giudici, come altrove nel mondo.
In tutto ciò, nessun cenno al fatto che la maternità surrogata non sia affatto una “cura per l’infertilità”, bensì una pratica che «comporta altissimi rischi per l’insorgenza di gravi patologie psichiatriche sia per la madre surrogata che per il bambino», come sosteneva già anni fa lo psicanalista Luciano Casolari su Il Fatto quotidiano e come sottolinea il documento La maternità surrogata: le principali questioni bioetiche nel tentativo di «rimettere al centro della discussione anche i bambini […] essi devono tornare soggetti di diritto. Il concepito non può essere considerato una res».
Sono loro, infatti, i grandi assenti del dibattito internazionale sulla maternità surrogata: i bambini, che – non va dimenticato – diventeranno gli adulti di domani. Chi saprà rendere conto, quel giorno, a una generazione “commissionata” su contratto, dell’assoluta leggerezza con cui, nel tentativo di “eliminare gli effetti discriminatori” per tutte le minoranze, non si è tenuto affatto conto di loro?
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