«Questa legge è l’unica alternativa alla deriva proposta dal referendum radicale, che vorrebbe legalizzare senza argini l’omicidio del consenziente». Così ha riaffermato, anche stamane, dalle colonne del quotidiano Avvenire, l’On. Alfredo Bazoli, del Partito Democratico (PD), relatore del testo unificato sulla morte volontaria medicalmente assistita in discussione nell’aula di Montecitorio.
Davvero le cose stanno così? Oppure lo spauracchio del referendum è solo l’alibi per l’autoassoluzione dei cattolici del PD, corresponsabili di una legge oggettivamente eutanasica? Forse basterà attendere solo una settimana per vedere che il re è nudo.
È infatti atteso per il 15 febbraio il pronunciamento della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum proposto dai Radicali sulla depenalizzazione dell’«omicidio del consenziente».
Buoni motivi per giudicare inammissibile il referendum non ne mancano. In caso di vittoria del referendum, infatti, grazie a un sapiente lavoro di cesello, l’«omicidio del consenziente» non sarebbe più perseguibile, salvo che l’uccisione sia a danno di un minore, di una persona inferma di mente o ritardata, o in caso di consenso estorto con violenza, minaccia, suggestione o inganno. Nei fatti, se il referendum non fosse dichiarato inammissibile dalla Consulta, con la cancellazione di soltanto 18 parole dall’art. 579 del Codice penale, in caso di vittoria del fronte Radicale, l’«omicidio del consenziente» non sarebbe più perseguibile, indipendentemente dalle condizioni cliniche del paziente (sofferente o meno, malattia irreversibile o meno), dalla professione dell’uccisore (medico o no) e dallo strumento scelto per uccidere (farmaco, cuscino, proiettile, o altro, non importa).
È evidente il terremoto che si produrrebbe per i fondamenti etici del diritto. Evidente anche l’effetto devastante che si avrebbe per la medicina. Il non uccidere, infatti, è imperativo per i medici fin dai tempi di Ippocrate.
Ora, in un’epoca nella quale la coscienza sociale rifiuta la guerra e la stessa pena di morte, la Consulta dovrebbe dichiarare inammissibile il referendum semplicemente perché sul precetto del non uccidere si reggono le leggi e la convivenza sociale.
Ammettendo il referendum potrebbe invece passare il messaggio per il quale una vita a cui non si riconosce dignità è comunque indegna di essere vissuta e che, quando si pensa di essere di peso, è meglio togliersi di mezzo. In una prospettiva di più lungo termine ciò svilirebbe il valore da riconoscere alle vite più fragili.
Vi è tuttavia un secondo motivo per cui l’inammissibilità del referendum è lapalissiana. Il cesello referendario dei Radicali, se lasciato all’opera, scolpirebbe infatti nel diritto una inaccettabile sperequazione tra il reato di «omicidio del consenziente» (che verrebbe liberalizzato appunto dal referendum) e quello, ritenuto meno grave, di «aiuto al suicidio» (non punibile solo a certe condizioni).
Infatti, nello stabilire che non è punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi», è stata proprio la Consulta a limitare la non punibilità del «suicidio assistito» al caso di «un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Giova però ricordare che il referendum, mentre depenalizza l’«omicidio del consenziente», non interviene invece sull’art. 580, quello che fino a oggi sanziona l’istigazione e l’aiuto al suicidio. Ed è proprio l’«aiuto al suicidio» che verrebbe legalizzato dal testo in discussione alla Camera, andando oltre la stessa sentenza della Corte Costituzionale.
Benché in Italia la giurisprudenza creativa dei magistrati abbia riservato in passato tante brutte sorprese, c’è da augurarsi che stavolta l’esito possa essere diverso.
Perché se quanto da noi auspicato accadesse, alcune conseguenze sarebbero inevitabili. Cadrebbe anzitutto la foglia di fico con cui pudicamente si vuole coprire lo sconcio di quei politici e di quegli ecclesiastici che, con la giustificazione del male minore, vorrebbero portare gli italiani, cattolici compresi, ad accettare senza combattere l’introduzione della morte medicalmente nel servizio sanitario nazionale. L’inammissibilità del referendum toglierebbe però loro ogni alibi, mostrando con chiarezza che il quesito referendario non ha nulla a che fare con la legge in discussione.
Caduto il referendum, inoltre, risulterebbe evidente che il testo ora in discussione va al di là delle richieste della Consulta sul «suicidio assistito» e, in analogia con la legge canadese di nome simile, gravida di abusi inauditi, apre definitivamente all’eutanasia. A quel punto, qualunque sia l’esito finale, si sarebbe almeno evitato il paradosso di una legge che, nei fatti eutanasica, venga approvata con tanto di benedizione e ringraziamenti.