Il reato universale dell’«utero in affitto»

Il testo base del disegno di legge che rende l’«utero in affitto» reato universale, proposto dall’onorevole Giorgia Meloni e da Fratelli d’Italia (FdI), è stato approvato ieri in Commissione Giustizia della Camera, con i voti favorevoli di un Centrodestra per una volta compatto.

La notizia ha fatto, giustamente, il giro del web e dei media e in particolare «iFamNews» ha raccolto le parole di soddisfazione della relatrice, l’onorevole Carolina Varchi, capogruppo di FdI in Commissione, che si aspetta comunque emendamenti e variazioni, ma sottolinea pure che «il testo rappresenta un ottimo punto di partenza per tutelare davvero le donne e i bambini».

Dal punto di vista giuridico, come tutti sanno esiste già in Italia una normativa che vieta la maternità surrogata. Si tratta della Legge 40 del 2004, che all’articolo 12, comma 6, prevede che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro». Parole chiare e lapidarie, ma fino a ora, nel caso dei bambini nati all’estero attraverso tecniche di surrogazione, la norma è stata disattesa e le richieste di regolarizzarne i documenti hanno trovato appoggio anche in alcune sentenze emesse dalla Corte Costituzionale.

In base al nuovo testo proposto dall’on. Giorgia Meloni, invece, le pene previste, si applicherebbero «[…] anche se il fatto è commesso all’estero», da cittadini italiani, ma pure da cittadini stranieri. Estendere la punibilità, al rientro in Italia, per un reato commesso all’estero, funzionerebbe evidentemente da deterrente e scoraggerebbe dal ricorrere alle pratiche di «maternità surrogata». È altrettanto chiaro, certamente, che intervenire davvero in questo senso richiede la cooperazione giudiziaria del Paese in cui sia stato commesso il fatto, ma questo è un altro discorso.

Per quanto riguarda la tutela dei bambini che giungessero in Italia, concepiti all’estero e nati da «utero in affitto», si tratta di un tema spinoso, che rischia però di muovere sentimentalismi di facciata che invece di tutelare i più deboli, i bambini appunto, finiscono per fare gli interessi dei più forti. Non esiste un “diritto” delle persone a essere genitori, né il Diritto, con la lettera maiuscola in tal caso, può legittimare un illecito alla luce del fait accompli. Non sarebbe questo il migliore interesse dei bambini, bensì scatenerebbe una “legge della jungla” internazionale in cui tutto potrebbe ricevere giustificazione, sottraendo ai più piccoli protezione e tutela.

Il testo base, in ogni caso, si trova solo alle prime battute del percorso legislativo, in “concorrenza” fra l’altro con un altro testo, quello del disegno di legge d’iniziativa popolare depositato qualche giorno fa alla Corte di Cassazione dalla Lega e da un gruppo numeroso che unisce realtà civili raccolte sotto il sentire comune dell’agenda politica «Ditelo sui tetti», e che si battono per la tutela dei diritti e della dignità della vita. Starà al Parlamento, al momento opportuno, armonizzare entrambi, l’uno stimolo e incentivo per l’altro.

Un primo passo, in ogni caso, è stato compiuto, ed è anzi un passo di grande importanza, in vista della calendarizzazione e della discussione, anche per non rischiare che ciò che non fa la politica lo faccia un tribunale, autorizzando a colpi di sentenze ciò che autorizzabile non è.

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