Last updated on Febbraio 16th, 2021 at 04:20 am
Manca poco al primo viaggio di Papa Francesco dopo l’insorgere della pandemia di CoViD-19. Dal 5 all’8 marzo il Pontefice sarà infatti in Iraq, all’insegna del motto «Siete tutti Fratelli». Il tema della riconciliazione, del resto, è di stretta attualità in un Paese che faticosamente prova a rimarginare le ferite causate da anni di guerre e di odi interconfessionali. Come preludio al viaggio la fondazione vaticana Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) ha preparato un rapporto sulla situazione politica e sociale dell’Iraq, soffermandosi in particolare sulla condizione in cui versa la comunità cristiana, divisa in una ridda di confessioni, ma unita nella sofferenza e nella persecuzione.
Ritorno alla Piana di Ninive
«I problemi per i cristiani continuano a concentrarsi in particolare nell’area a nord del Paese», spiega ad “iFamNews” Alessandro Monteduro, direttore di ACS-Italia. Punto nevralgico attorno al quale si snoda la sua riflessione è la Piana di Ninive. In questo territorio dal 2014 si è consumata un’emorragia di cristiani: tra i 100 e i 120mila furono costretti a fuggire a seguito dell’occupazione da parte delle milizie jihadiste dell’Isis. «Il 45% dei cristiani è ora tornato nei villaggi», osserva Monteduro. «Qualche cristiano è rientrato anche a Mosul, ma principalmente a Qaraqosh, città siro-cattolica, e a Karamless, città in prevalenza caldea».
Disoccupazione
Il rientro dei cristiani è un’ottima notizia. Ma non è ancora sufficiente. «Permangono due serissimi problemi», afferma il direttore di ACS-Italia. Il primo è la disoccupazione. «Se non si creano condizioni lavorative, assisteremo a un nuovo esodo da parte dei cristiani, in particolare dei giovani», dice. Tale consapevolezza ha indotto ACS, quando ha lanciato un programma di sostegno ai cristiani e per la ricostruzione di edifici sacri della Piana di Ninive, a far lavorare manodopera locale. «Questo ha dato loro ossigeno», spiega.
Sicurezza
Il secondo aspetto evocato da Monteduro è la sicurezza. «I cristiani d’Iraq non abbandonano la strada della riconciliazione», afferma, «è tuttavia comprensibile il loro timore di una recrudescenza del fondamentalismo, che provenga dal sedicente Stato islamico o da altri gruppi». Al termine dell’ultimo conflitto si è presentato un nuovo fronte di pericolo. «I cristiani accusano le milizie sciite, sostenute dall’Iran, di perpetrare quotidianamente vessazioni e discriminazioni», racconta il direttore di ACS-Italia. Che aggiunge: «Questa situazione non li incoraggia certo a rimanere». Monteduro ricorda che le milizie sciite hanno contribuito a sconfiggere l’Isis. «Non vorremmo però che i salvatori si trasformassero nei nuovi persecutori».
Valore simbolico di un viaggio
Il percorso verso la normalizzazione dell’Iraq è dunque ancora lungo. Ma alcuni segnali possono contribuire ad accorciare le distanze. La visita del Papa è uno di questi. «È significativo che il Santo Padre sarà in Iraq esattamente a dieci anni dall’avvio del conflitto in Siria dal quale poi, a cascata, sono promanate ripercussioni in tutto il Medio Oriente. E in Iraq, in particolare, hanno portato all’insediamento del sedicente Stato islamico», spiega il direttore di ACS-Italia. Chissà allora che il viaggio papale non possa rappresentare un cerchio che si chiude e una nuova stagione che si apre.