Il «no» di Cuba alle imposizioni del governo

Si moltiplicano le voci contrarie al nuovo «Codice della famiglia», che in nome dell'ideologia LGBT+ intende sottrarre i figli ai genitori

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A Cuba, il nuovo Codice della famiglia promosso dal governo del presidente Miguel Díaz-Canel non piace. A nessuno.

Le femministe si sono dichiarate contrarie, lamentando il fatto che la nuova normativa non classifichi come un crimine il femminicidio, inteso come l’uccisione di donne e ragazze in ragione del loro sesso. Anche gli attivisti LGBT+ non sono entusiasti della proposta, che giudicano un gesto timido e tardivo, nel tentativo di mascherare il passato “omofobo” di Cuba. Si oppone anche la Chiesa Cattolica, che respinge gli articoli del disegno di legge che in nome della consueta ideologia gender permetterebbero alle coppie dello stesso sesso di “sposarsi” e di adottare bambini.

Pure la campagna di consultazioni popolari, iniziata il 1° febbraio, in vista del referendum che in autunno sottoporrà al vaglio dei cittadini il nuovo Codice, non ha avuto il successo che il governo auspicava. Si sono appena conclusi i circa 78mila incontri previsti, in tutto il Paese, e già a metà aprile si era registrato che durante oltre 45mila eventi tra febbraio e aprile solo il 54% dei partecipanti avrebbe espresso parere positivo rispetto alla normativa.

Ora è previsto che i riscontri ottenuti da parte della popolazione, con le proposte di modifiche, integrazioni o eliminazioni, siano filtrati dalla commissione incaricata di redigere il Codice definitivo. Poi il testo dovrà passare in parlamento per l’approvazione dei deputati e infine, in luglio, è previsto il referendum.

Fra coloro che hanno espresso riserve alla proposta di legge figura la comunità cristiana protestante evangelicale dell’isola, ma soprattutto l’organizzazione «A la escuela, pero sin ideología de género», «a scuola, ma senza ideologia di genere», che è anche il titolo della campagna di informazione e raccolta di firme lanciata l’anno scorso sui social media e non solo, proposta da genitori cristiani e non cristiani che a Cuba si oppongono all’ideologia LGBT+ che sempre più impone la propria presenza sullo scenario sociale.

Le dichiarazioni di Oscar Rivero, direttore dell’organizzazione, in una intervista rilasciata al sito web Protestante Digital, evidenziano innanzitutto come il governo cubano abbia mostrato poca trasparenza durante la consultazione popolare, limitando la possibilità di approfondire la lettura del nuovo Codice, molto complesso e articolato, stampando una quantità minima di copie cartacee e affidando il resto alla buona volontà dei cittadini di andare a cercare il testo in formato digitale. Inoltre, non è stato dato spazio ad alcun contradditorio e, anzi, in molti casi gli addetti che avrebbero dovuto semplicemente registrare le opinioni rilevate nelle sedi della consultazione hanno approfittato per cercare di sponsorizzare la nuova normativa o hanno addirittura tenuto qualcosa di simile a un comizio.

Naturalmente, il dottor Rivero è preoccupato soprattutto dagli aspetti del testo legati al “matrimonio” omosessuale, all’adozione di bambini da parte di coppie “omogenitoriali”, alla pratica dell’«utero in affitto».

Vi è però anche un’altra questione, che tocca direttamente la libertà educativa dei genitori. Evidentemente il lupo perde il pelo ma non il vizio e il governo cubano, che come si sa già in passato ha conculcato le libertà dei cittadini, libertà religiosa, libertà di pensiero e di espressione, libertà in ogni significato immaginabile, ora di nuovo intende sottrarre i figli ai genitori privandoli della «potestà genitoriale» per affidare loro la semplice «responsabilità», come si trattasse di una pragmatica custodia. Con un facile artificio linguistico, verrebbe meno cioè l’autorità ai genitori in nome di ciò che viene definito «autonomia progressiva» del bambino, una locuzione che ricorre per tutto il Codice, in 22 articoli e 27 commi. In tal modo, per esempio, i genitori non potrebbero avere alcuna voce in capitolo qualora il figlio o la figlia, anche minorenne, volesse sottoporsi a un percorso di «transizione di genere».

A Cuba lo Stato dice di promuovere il «migliore interesse» del bambino, quando invece sembra che voglia strapparlo ai genitori ed “educarlo”, al posto loro, ai propri dogmi.

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