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I ricchi abortiscono di più e qualche scienziato bara

«The Lancet» rileva che l’aborto legale aumenta gli aborti fra le gravidanze indesiderate. Ma censura pure dati importanti. Perché è legato alla Planned Parenthood

Simone Fausti di Simone Fausti
04/10/2020
in Vita
136
Reading Time: 3 mins read
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Last updated on Ottobre 13th, 2020 at 03:26 pm

20%: un valore altissimo quando si parla di vite umane. E un nuovo studio ha scoperto che il 70% delle gravidanze indesiderate termina con un aborto in quegli Stati dove la pratica è «ampiamente legale» contro il 50% dei Paesi in cui vige una legislazione restrittiva. Una differenza appunto del 20%.

La ricerca è il frutto di un lavoro a più mani pubblicato su The Lancet, il prestigioso periodico scientifico britannico di ambito medico, ed è stata condotta a livello globale. Copre un arco temporale trentennale, dal 1990 al 2019, e si fonda su un nuovo modello in grado di stimare contemporaneamente l’incidenza delle gravidanze indesiderate, definite come gravidanze non volute o capitate prima di quando si desiderava, e degli aborti.

I risultati sono abbastanza eloquenti: tra il 2015 e il 2019 si stima siano occorse circa 121 milioni di gravidanze indesiderate, cioè circa 64 gravidanze su 1000 donne nella fascia di età compresa fra i 15 e i 49 anni. Il 61% di queste è quindi terminata in un aborto, una percentuale che porta il tasso globale a 39 aborti ogni 1000 donne.

Lo studio suddivide i Paesi in due categorie: quelli in cui la legislazione sull’aborto è largamente permissiva e quelli in cui sono in vigore restrizioni. Il risultato è che, nel primo gruppo, il 70% delle gravidanze desiderate finiscono in aborti, mentre nel secondo “solo” il 50%.

Questi valori sono ovviamente influenzati da una molteplicità di fattori, come per esempio le condizioni socio-economiche, la qualità del sistema sanitario e i fattori culturali. Ciononostante risulta evidente che in quegli Stati dove sono in vigore leggi più restrittive, gli aborti relativi a gravidanze indesiderate sono considerevolmente minori rispetto ai Paesi dove le legislazioni sono più permissive.

L’elemento economico risulta inoltre essere un ulteriore fattore distintivo. Il tasso di gravidanze indesiderate nei Paesi con un reddito alto è di 34 su 1000 donne, un valore che sale a 66 in Paesi con un reddito medio e arriva a 93 in quelli con reddito basso. Il tasso di aborti è però maggiore negli Stati dove, mediamente, la popolazione gode di redditi medi e ciò significa che, malgrado nei Paesi più poveri vi siano più gravidanze indesiderate, queste terminano in aborti meno frequentemente che nei Paesi con reddito medio.

Tuttavia un aspetto particolare della ricerca pubblicata da The Lancet riguarda la scelta metodologica. Gli autori si dicono infatti consapevoli dei limiti imposti alla propria ricerca dal fatto che si sono dovuti trascurare alcuni fattori importanti, ma l’attenzione non può non cadere sull’esclusione, dall’analisi, di Paesi quali India e Cina. Così facendo, il tasso di aborti in Paesi dove l’interruzione della gravidanza è «ampiamente legale» passa da 40 per 1000 donne a 26.

Perché escludere due Paesi demograficamente tanto rilevanti come i due giganti asiatici? Perché in quegli Stati vivono il 62% delle donne in età riproduttiva dei Paesi dove l’aborto è ampiamente legale. Secondo gli autori della ricerca, i dati di India e Cina distorcerebbero cioè le medie degli aborti nei Paesi i cui la legislazione è più permissiva, rendendo il tasso di aborti di questo gruppo più alto di quello dei Paesi in cui l’accesso all’aborto è più ristretto. Scelta francamente inspiegabile sul piano scientifico, ma coerente con le conclusioni filoabortiste dello studio.

È stato fatto notare, infatti, che metà degli autori della ricerca risponde al Guttmacher Institute, legato a doppio filo al più grande abortificio del mondo, la Planned Parenthood. Del resto l’istituto prende il nome dal ginecologo statunitense Alan Frank Guttmacher (1898-1974), successore della fondatrice eugenista della Planned Parenthood, Margaret H. Sanger (1879-1966), ed egli stesso fondatore dell’American Eugenics Society.

La sfacciataggine dei ricercatori giunge del resto al punto di sottolineare, nelle conclusioni del testo, la necessità di «includere nei sistemi sanitari nazionali un pacchetto che comprenda anche servizi essenziali per la salute e garantisca i diritti sessuali e riproduttivi, fra cui la contraccezione e l’accesso all’aborto sicuro». Scienza…

Tags: AbortoGuttmacher InstitutePlanned Parenthood
Simone Fausti

Simone Fausti

Simone Fausti, monzese, è laureato in Scienze Politiche e Sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e specializzato in Relazioni Internazionali. Collabora con diverse testate locali (Il Giornale di Monza, Bresciaoggi) e online (Youtrend). Lo appassiona la lettura di G.K. Chesterton e di Raymond Carver.

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