Last updated on Febbraio 15th, 2020 at 12:17 am
È cominciata la battaglia per il futuro della professione medica, che rischia pesanti stravolgimenti a colpi di sentenze e di delibere. L’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), infatti, lo ha detto e ripetuto chiaramente: i medici non possono essere incaricati di causare e provocare la morte dei pazienti. Una linea rossa che è stata ribadita in questi giorni a causa delle prime conseguenze della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sull’aiuto al suicidio assistito.
Questa sentenza infatti ha legittimato il suicidio assistito in presenza di determinate circostanze riassumibili in: piena consapevolezza del paziente, patologie irreversibili e dolore refrattario ad ogni trattamento. Il 6 febbraio il Consiglio nazionale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chrurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), facendo seguito alla decisione della Corte Costituzionale, ha approvato all’unanimità il testo degli indirizzi applicativi dell’articolo 17 del Codice deontologico che recita:
«La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare».
Basta un verbo, «agevolare», per capovolgere la logica della medicina che è ancorata all’integrità del medico nel prendersi cura della vita. Esiste un livello di dolore del paziente che rende lecito l’aiuto al suicidio? La risposta è no, perché la medicina è sempre per la vita. Ciò non significa assumere una posizione ideologica: di fronte alle persone che vivono una situazione di profonda fragilità, magari affetti da una malattia terminale, il medico deve sempre prendersi cura della vita, soprattutto quando il male è inguaribile, con proporzionalità e sollecitudine. La sentenza della Corte risponde a una logica opposta e questa deriva non sembra interessare unicamente il nostro paese.
Ribadire l’incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere
A seguito di questa decisione della FNOMCeO si sono alzate diverse voci di critica, tra cui appunto quella dell’AMCI: «I medici cattolici sono in trincea contro l’eutanasia e il suicidio assistito!» recita un loro comunicato stampa dai toni perentori. Un’affermazione che non accetta compromessi, come dovrebbe essere quando in gioco c’è uno dei pilastri fondamentali del lavoro del medico come la cura della vita. L’AMCI ribadisce dunque che i medici cattolici saranno sempre osservanti della propria coscienza e non accondiscenderanno in nessun caso a richieste eutanasiche da parte dei pazienti. Già in un convegno del 30 gennaio era stata ribadita questa posizione: «Tutti i medici cattolici rappresentano l’assoluta incompatibilità tra l’agire medico e l’uccidere», affermava Filippo Boscia, presidente dell’AMCI, di cui “IFamNews” ha pubblicato l’intera relazione al convegno, oggi per l’occasione riproposta in versione più agevole per l’uso mass-mediatico, «perché chi esercita la difficile arte medica non può scegliere di far morire e nemmeno di far vivere ad ogni costo, contro ogni ragionevole logica». Al contrario i medici cattolici sottolineano come l’urgenza sia un’altra, cioè quella di attuare le potenzialità della legge 38/2010 che riguarda le disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore: «[…] sottolineiamo l’importanza di queste cure e la necessità di mantenere i malati terminali in un percorso esistenziale, sostanziato al massimo da rapporti umani e affettivi».
La situazione generale dunque è confusa e chiara allo stesso tempo. I medici cattolici si stanno ponendo molte domande dopo la sentenza 242/2019 e una sembra decisiva per il futuro della medicina: può una legge dello Stato o una sentenza di una corte stabilire cosa sia la professione medica, indipendentemente dalle norme secolari maturate internamente all’Ordine?
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