L’aborto, in Croazia, è considerato da alcuni un «diritto mancato». Secondo loro, le donne croate non si vedrebbero riconosciuto il «diritto alla salute sessuale e riproduttiva» per “colpa” dei medici obiettori, tanto invisi anche al deputato Anka Mrak-Taritaš, presidente del partito Alleanza Liberale Civica (GLAS), che vorrebbe l’obiezione di coscienza vietata per legge.
Un episodio in particolare ha scatenato le proteste dei filo-abortisti, che giovedì 12 maggio hanno organizzato manifestazioni a Zagabria e in altre città a sostegno della cessazione della gravidanza. Si tratta della vicenda di Mirela Čavajda, una trentenne che ha richiesto di abortire il proprio bambino di oltre 24 settimane di vita nel grembo, dopo aver ricevuto una diagnosi infausta, a causa di un tumore al cervello del piccolo che faceva presagire la morte poco dopo la nascita oppure malformazioni gravi del bimbo. Eppure, mercoledì 11 maggio, dopo giorni di polemiche, i medici avevano pure autorizzato l’aborto, come annunciato dal ministro della Salute Vili Beroš.
L’aborto è stato reso legale nel Paese con una legge che risale al 1978, in epoca jugoslava, recepita tale quale nella Costituzione successiva all’indipendenza nel 1991, ed è praticabile sino a 10 settimane di vita del bambino nel grembo materno. Oltre tale data, l’aborto è comunque possibile in alcuni casi, per esempio quello di ipotetiche malformazioni gravi del piccolo. L’unico argine è proprio quello dell’obiezione di coscienza, duramente contrastato dagli attivisti filo-abortisti che criticano anche la posizione della Chiesa Cattolica, che a loro avviso influenzerebbe il giudizio dei medici obiettori, i quali secondo alcuni studi commissionati dall’organizzazione sedicente pro-choice Gender Equality Advocate nel 2019 si sono dichiarati contrari all’aborto per il 59%.
Questi attivisti filo-abortisti non sono lieti che «[…] nel 2018, ci sono stati appena 67 aborti ogni mille nascite, tre volte meno che in Slovenia e quattro volte meno che in Serbia, due stati limitrofi emersi anch’essi dall’implosione della Jugoslavia». Non è un (parziale) successo, per loro, ma una sconfitta. Una benedetta sconfitta.
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