Last updated on aprile 21st, 2021 at 06:20 am
Intendiamoci, certe cose dette da un ex presidente della Corte costituzionale, sono da apprezzare. Per esempio che «il figlio non è mai un diritto né tantomeno una merce acquistabile» e che la «maternità surrogata» va «messa al bando» a livello «internazionale», anche perché dà «legittimità allo sfruttamento delle donne». Ma l’intervista concessa da Cesare Mirabelli a Luciano Moia per Avvenire imbarca acqua già quando l’autorevole giurista dice che «fecondazione eterologa tra persone dello stesso sesso e maternità surrogata non possono […] essere premesse sufficienti per garantire che il “superiore interesse del minore” venga effettivamente attuato». Infatti è sacrosantamente vero l’esatto contrario, e bisognerebbe urlarlo dai tetti, altro che titubare di distinguo e tentennare di nuance: l’uso della provetta dell’allegro chirurgo o l’affitto di un utero come fosse una city car per fare i bambini puntano già preventivamente al ribasso, comunque poi vada concretamente per quei bimbi, con la vita, e Dio, che sono capaci di scrivere diritto pure sulle righe storte.
L’argomento in oggetto sono due sentenze, entrambe depositate il 9 marzo ed entrambe pubblicate in Gazzetta ufficiale il giorno dopo, l’una riguardante una coppia di omosessuali maschi e l’altra due lesbiche, con cui, com’è stato efficacemente sintetizzato, la Corte costituzionale sdogana acrobaticamente la cosiddetta «omogenitorialità» anche se mantiene il divieto all’«utero in affitto».
Superato lo sbigottimento semantico per la frase «fecondazione eterologa tra persone dello stesso sesso» (forse si tratta di magia non esattamente bianco panna), l’infiltrazione d’acqua diventa un fiume in piena quando Mirabelli dice: «Penso che tocchi al giudice minorile valutare caso per caso ogni situazione, quella cioè che garantisca davvero tutti gli obiettivi rilevanti per la crescita equilibrata del bambino, dalla cura della persona all’assistenza morale, dalla salute all’educazione scolastica, dalla tutela degli interessi patrimoniali alla sua identificazione come membro di una famiglia. Se tutti questi aspetti sono assicurati anche da una condizione di stabilità familiare nel segno della responsabilità, allora si può pensare di tutelare anche i legami in cui il “miglior interesse del minore” si concretizza». Ovvero, prosegue il presidente emerito della Corte costituzionale, «il giudice, dopo un esame approfondito e sereno della situazione, dev’essere libero di decidere se vi è il radicamento del rapporto, la continuità affettiva, l’impegno educativo, l’assunzione di responsabilità. Senza approcci ideologici. E speriamo che il legislatore possa intervenire con saggezza e con una valutazione a tutto campo, capace di tenere nella giusta considerazione aspetti giuridici, sociali e culturali».
Nossignore! Non me ne vogliano gli amici giuristi, ma non al giudice spetta qui decidere, men che meno al giudice che discrimini in base a criteri propri sostituendo questi all’azione del legislatore, come dice Mirabelli. Anche se è uno sport ormai poco praticato, infatti, non sono i giudici a fare le leggi. Quando succede, la cosa è grave come quando il legislatore pensa di essere la fonte ultima del diritto. Un giudice, come un legislatore non decide cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, bensì ciò che è conforme alla legge e ciò che non lo è, e nemmeno fa il suggeritore.
Un giudice che così facesse, infatti, potrebbe tranquillamente decidere, «dopo un esame approfondito e sereno», per carità, «senza approcci ideologici», ci mancherebbe, che «se vi è il radicamento del rapporto, la continuità affettiva, l’impegno educativo, l’assunzione di responsabilità» una coppia formata da due persone dello stesso sesso costituiscano il miglior interesse del minore, visto, ancora una volta, che il parlamento tarda a pronunciarsi.
Lo facesse, sarebbe gravissimo. Radicamento, affetto, educazione, responsabilità: Mirabelli evoca infatti di tutto tranne la natura, la biologia e l’ordine delle cose, ammesso e non concesso che i legami omosessuali possano, in sé, dare garanzia di radicamento, di affetto, di volontà educativa e di responsabilità. È qui che non si vede la «limpidezza giuridica» che l’intervistatore Moia attribuisce all’intervistato Mirabelli. Oppure la si vede sin troppo bene?
Image source: Children in wagon (part 2), photo by greenmelinda from Flickr, licensed by CC BY 2.0
Commenti su questo articolo