No, lo schwa non è assolutamente ammissibile. A fare da katéchon è la quasi totalità dei linguisti italiani. Non solo quelli anziani o “vecchio stampo”. A schierarsi contro le nuove barbarie del politicamente corretto a sfondo lessicale è anche la 32enne Mariangela De Luca, insegnante di lettere, nota per alcuni saggi di divulgazione come Galeotto fu ‘l libro e La lingua parla (di te). Perché parlare e scrivere bene ti aiuta a vivere meglio. Quest’ultimo è stato presentato la settimana scorsa dall’autrice a Radio Deejay, emittente dall’eterno taglio giovanile (o giovanilistico) e di certo non allergica a mode o cambiamenti.
Nell’ intervista con gli speaker Linus e Nicola Savino la giovane docente ha messo i punti sulle i: la lingua italiana, per quanto si evolva, non può essere riformata attraverso cambiamenti grafici così radicali e, soprattutto, imposti da un’élite, con la mera scusa dell’«inclusione» o della presunta «discriminazione». Una posizione, peraltro, perfettamente in linea non solo con le associazioni familiari, ma anche con i recenti pronunciamenti dell’Accademia della Crusca e del suo presidente Claudio Marazzini.
«È necessario parlare alle coscienze, è necessario reinventare la narrazione del sé, dell’altro e del rapporto che c’è tra noi e gli altri», dice la De Luca. «Non si può pensare di cambiare a livello morfologico e strutturale una lingua che è già normata» che è «in uso» e «con la quale comunichiamo».
«L’italiano è una lingua binaria», prosegue la linguista, «non conosce il neutro che è il genere, tra l’altro, delle cose». Pertanto, «non è giusto adottare lo schwa», perché esso rappresenta «un’invenzione posticcia, un qualcosa di creato a tavolino e nato in seno alla lingua scritta».
Nulla di sessista nel dire «questo» o «questi»
In questo lo schwa «rivela tutta la sua disfunzionalità, perché, se noi lo vogliamo portare nella lingua orale, non riusciamo a pronunciarlo. Allora davvero il riconoscimento della diversità, la sua valorizzazione e tante altre cose connesse, possono essere relegate a un’afasia, a un vacuum vocalico?».
Perché, in nome della neutralità di genere, invece di dire «questo» o «questi», si dovrà dire «quest»? «No, voglio invece pronunciare il nostro maschile che va poi a essere inclusivo e non c’è niente di sessista in questo», insiste la professoressa De Luca. «Ricordiamo, tra l’altro, che c’è differenza tra genere grammaticale e genere semantico. Non dico “lampadario” perché è maschio. Non dico “sedia” perché è femmina. Non confondiamo le cose!», conclude la linguista.
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