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«Giancarlo Bertolotti era un ottimo medico». Sono queste le prime parole che ci si sente dire quando si prova a ricostruire la vita del Servo di Dio Giancarlo Bertolotti (1940-2005). Amici, colleghi, pazienti: in ogni racconto, in ogni ricordo, il filo rosso è la grande professionalità dell’ostetrico ginecologo nato a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi, il 21 febbraio del 1940, e per 38 anni in servizio al Policlinico San Matteo di Pavia, fino alla morte prematura, sopraggiunta dopo un gravissimo incidente stradale il 5 novembre del 2005. Punto di riferimento a livello mondiale per gli studi sui metodi di regolazione naturale della fertilità, il dottor Bertolotti ha speso tutta la vita per aiutare le donne in gravidanza, con l’obiettivo di dire sempre sì alla vita. «Di avere un figlio», ripeteva, «non ci si potrà mai pentire, di non averlo sì».
Ma chi era davvero Bertolotti? Lo ricorda ad “IFamNews” Sandro Assanelli, tra i fondatori (e poi direttore per oltre 30 anni) del Centro Aiuto alla Vita di Pavia. «Giancarlo era un professionista preparato, serio e profondamente innamorato della vita», dice Assanelli. «Il 2 novembre 2005, quando la sua auto è stata travolta da un furgone sulla tangenziale, stava tornando ancora una volta a Pavia da Sant’Angelo per visitare nuovamente una paziente che aveva operato da poco. Aveva finito il turno. Quelle dovevano essere le sue ore di riposo prima di ricominciare a lavorare, ma per lui era più importante sincerarsi delle condizioni di salute della paziente».
Un lavoro inteso come una missione, come un impegno totalizzante. «Una notte eravamo insieme ad attendere il padre di una ragazza incinta», ricorda Assanelli. «Quest’uomo era convinto che la figlia dovesse abortire. Ripeteva sempre: “Mia figlia ha sbagliato, questa è la giusta punizione per lei”. Giancarlo gli aveva chiesto un incontro, ma l’appuntamento fissato per le 21 era saltato. Le ore passavano e l’uomo non si presentava. Il silenzio dell’attesa interminabile era rotto solo dalla preghiera di Giancarlo, fin quando a mezzanotte il padre suona il campanello. Tre ore di testa a testa, ma l’uomo se ne va convinto di far abortire la figlia. La mattina dopo è la ragazza stessa a chiamarmi. Mi dice poche parole: “Va tutto bene, sono a casa. Il bambino nascerà”. Quante volte, camminando insieme per le strade della città, Giancarlo veniva fermato da mamme che lo ringraziavano di averle sostenute, aiutate, convinte a portare a termine la gravidanza».
Bertolotti, che non smetteva di documentarsi e aggiornarsi, non era solito fare catechesi alle pazienti. «Era un uomo parsimonioso di parole», ricorda ancora Assanelli. «Donava gran parte dello stipendio alle mamme che volevano abortire per motivi economici e non voleva mai essere pagato per le visite private. Quando le pazienti gli lasciavano una busta con del denaro, la prendeva senza nemmeno aprirla. La domenica mi suonava il campanello e mi consegnava tutte le buste, come sostegno per il Centro di Aiuto alla Vita».
Un atteggiamento, unito all’obiezione di coscienza e alla promozione dei metodi naturali, che gli ha provocato pesanti attacchi sul piano professionale e umano. Nel febbraio 1987 Bertolotti descrive, in un articolo pubblicato su il Ticino, il settimanale della diocesi di Pavia, come i metodi naturali aprano a «una virilità che sa valorizzare anche la ricchezza espressiva della continenza e non si spaccia per quell’atteggiamento irriguardoso nei confronti della donna, che più propriamente si chiama gallismo, e (aprano a) una femminilità dolce e accogliente ma non disposta a rinunciare alle proprie prerogative».
Come ha potuto Bertolotti non perdere la speranza, non scendere a compromessi? «Non è stato per niente facile», conferma Assanelli, «ma Giancarlo trovava forza nella fede, nella preghiera. In una fede che si sposa con la ragione e che per questo lo spingeva a essere contro l’aborto non solo per fede, ma per ragione. La sua umiltà, la sua serenità, spiazzavano anche i colleghi che più lo avversavano. Ricordo un suo primario che, dopo anni di guerra aperta, quando si trovò con la figlia che doveva partorire corse a cercarlo. Non lo fece per la sua fede, lui non credeva; lo fece perché, nonostante la lontananza d’ideali, riconosceva a Giancarlo una professionalità, una competenza unica».
Il 25 luglio 1968 Papa san Paolo VI (1897-1978) pubblica l’enciclica Humanae vitae. Bertolotti ne trae nuove ispirazioni, come scrive in una lettera di pochi anni dopo: «Se dedico gran parte del mio tempo a promuovere nei giovani e nelle coppie l’apprezzamento del gesto sessuale matrimoniale nella sua naturale integrità e bellezza, è perché sono persuaso che i protagonisti dell’edificazione di un amore coniugale casto e fecondo ne sono altresì i primi lieti beneficiari. Il messaggio dell’Humanae vitae è, se ben inteso, liberante».
L’amore di Bertolotti per la vita era evidente non solo nell’attività di ostetrico ginecologo, ma anche in quella di chirurgo, nella quale spesso affrontava operazioni lunghe e complesse. E non era raro che, di fronte a diagnosi nefaste, gli stessi colleghi che lo avversavano per il suo «no» all’aborto ne chiedessero il parere o l’intervento diretto in sala operatoria, certi della sua abilità.
Il giorno del suo funerale, la grande basilica di sant’Angelo Lodigiano faticava a contenere le centinaia di persone accorse per l’ultimo saluto. Un saluto festoso, che conteneva molti «grazie» per tutte le vite salvate. A sorpresa, presero la parola alcuni suoi colleghi che proprio in quel frangente iniziarono a mettere in discussione le proprie posizioni e che da quel momento scelsero l’obiezione di coscienza. L’anestesista Giovanni Coven, come riportato da Barbara Sartori nel libro Giancarlo Bertolotti. L’apostolo del bell’amore e dell’aiuto alla vita, definisce Bertolotti «una pietra d’inciampo posta nella clinica di ostetricia e ginecologia, cioè nel tempio della vita. Una pietra angolare scelta da una sapienza superiore per la sua solidità, una pietra di paragone silenziosa con la quale doveva inevitabilmente confrontarsi qualsiasi persona o comportamento. Un segno di contraddizione per la nostra e mia salvezza». Il cardinal Dionigi Tettamanzi, che firma la prefazione al libro Una vita per la vita di Angelo Comini, scrive: «La storia di un uomo che non si è mai arreso a un’idea minimale dell’esistere. Giancarlo Bertolotti visse infatti la sua caritas in un operoso prodigarsi per gli altri: centinaia di bambini sono nati perché, grazie a lui, fu restituita alle loro mamme (e spesso ai loro padri) quella piena “libertà di non abortire” che sarebbe dovere delle istituzioni assicurare in ogni caso».
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