Last updated on Novembre 4th, 2020 at 10:31 am
Nel momento in cui si è letto che il ministero della Salute ha inserito nel registro degli stupefacenti l’olio di cannabidiolo (o CBD), rendendolo pertanto sostanza vietata a norma di legge a far data dal 30 ottobre prossimo, alcune teste pensanti e coscienze rette hanno fatto un balzo sulla sedia: finalmente una presa di posizione corretta, nel mondo attuale improntato piuttosto al “liberi tutti”?
Poi, le medesime coscienze hanno preso informazioni maggiormente approfondite e l’entusiasmo si è un poco affievolito. Ma occorre procedere con ordine.
Con decreto del 1° ottobre, registrato in Gazzetta Ufficiale il 15 del mese, il CBD “è divenuto” uno stupefacente. Pertanto il suo libero smercio e commercio risulta vietato. Era ora. Ma chi esultasse, sperando in una presa di coscienza da parte dello Stato e di chi dovrebbe vigilare sulla salute dei suoi cittadini, specie dei più giovani, resterebbe almeno in parte deluso.
Non si tratta, infatti, di una presa di posizione forte, decisa, bensì semplicemente di un iter procedurale consueto, legato al DPR 309 del 1990, il cosiddetto testo unico sulle droghe, in base al quale avviene la gestione e la normativa delle tabelle che ricomprendono le sostanze stupefacenti, in aggiornamento periodico e continuo perché sempre nuove sostanze si affacciano, purtroppo, al mercato italiano, e non solo.
È quella che viene definita una “norma in bianco”, nella quale le tabelle vengono appunto aggiornate man mano che i tecnici del ministero della Salute valutassero la pericolosità di una sostanza, spesso nuova e sconosciuta.
Ora, non si tratta di sostanza contenente THC, bensì di cannabidiolo, di cui comunque si è stabilito che la libera circolazione sia dannosa per la salute.
Per altro, così come accaduto in passato per esempio per la morfina, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sulla scorta dell’European Medicines Agency (EMA), ha all’esame alcuni studi che permetteranno probabilmente l’inserimento dell’olio di cannabidiolo in farmaci che, similmente alla morfina, possano attenuare i dolori cronici di pazienti affetti da specifiche malattie.
L’uso dell’olio di cannabidiolo a fini terapeutici, cioè, è allo studio e già in fase avanzata.
È la libera circolazione che non sarà permessa, l’interpretazione arbitraria e fraudolenta di quella legge del 2016 che promuoveva la filiera agricola della canapa e ha permesso invece il proliferare dei negozi di cannabis light, anche vicino a scuole e centri ricreativi per ragazzi, aperti persino quando il lockdown della scorsa primavera ha messo in ginocchio in Italia l’intero settore del commercio.
Ed è qui che torna il discorso, come la lingua che batte dove il dente duole, al commercio, al mercato: ciò che soprattutto emerge dalle voci contrarie a tale divieto al libero smercio, è il danno che potrebbe subire un settore che, si dice, muove affari complessivi per 150 milioni di euro, traina la green economy e offre sbocchi lavorativi per i giovani.
A corollario l’accusa di fare piuttosto gli affari delle multinazionali del farmaco.
“iFamNews” non ha fatto mistero in passato di essere schierata su posizioni molto chiare rispetto al libero commercio della cannabis cosiddetta light, in ogni sua forma o formulazione.
Oggi non può che ribadire il medesimo concetto e affermare che, in barba all’ideologicamente corretto, preferisce questa vittoria dimezzata alla sconfitta della liberalizzazione.
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