Fare figli per salvare il pianeta

Contro il neomalthusianesimo: poche persone in età lavorativa frenano la transizione ecologica

Image from Pixabay

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Last updated on Gennaio 5th, 2022 at 07:19 am

Fare più figli per salvare il pianeta. L’appello di Rémy Verlyck, amministratore delegato del centro studi francese Familles Durables, inverte il paradigma di un certo ambientalismo radicale. Mentre qualche neomalthusiano continua ad affermare che «i bambini sono la cosa peggiore che si possa fare per l’ambiente», fortunatamente c’è anche chi ripone fiducia nella vita.

Invertire un paradigma

«In una fase di “eco-ansia” e di pessimismo sempre più persone stanno perdendo il gusto per la vita e rinunciano o esitano a procreare», osserva Verlyck sul quotidiano francese Le Figaro. Eppure, prosegue, «sembra che dare alla luce un minor numero di bambini non avrebbe praticamente alcun effetto sull’ambiente». Anzi, la denatalità potrebbe «rallentare il ritmo di innovazione necessario per la transizione ecologica».

Cos’è l’“eco-ansia”

Nell’articolo Verlyck cita uno studio realizzato dall’Università Cattolica di Lovanio condotto nel 2021 con 2.080 partecipanti da 8 Paesi in Europa e Africa. Ebbene, il risultato è che il 12% sia affetto da “eco-ansia”, ovvero da una preoccupazione ossessiva per l’inquinamento ambientale. Senza che si possa stabilire un legame con il livello d’istruzione, si evince che sono maggiormente colpiti donne e under 40, proprio le due categorie che possono rappresentare un propulsore demografico.

Un altro studio del 2021, condotto dall’Università di Bath, ha preso in esame 10mila giovani in 10 Paesi, attestando che l’84% si dice preoccupato per il riscaldamento globale, il 59% estremamente preoccupato e il 40% lo è a tal punto da esitare a procreare. Insomma, quasi un giovane su due è dissuaso dal fare figli a causa degli allarmi sul clima. Questi due studi, evidenzia Verlyck, dimostrano che i cambiamenti ambientali incidono non solo sul nostro habitat, bensì anche sulla psiche di molti di noi.

Senza figli, nessuna transizione ecologica

Un robusto impatto psicologico lo assumono i vari profeti della denatalità come forma di tutela ambientale. Secondo costoro, procreare sarebbe un male per il pianeta, in quanto i bambini sono fonti di enormi emissioni di carbonio nell’aria. Verlick osserva, tuttavia, che la popolazione mondiale è già destinata nei prossimi decenni a diminuire. A tal proposito l’articolista francese cita uno studio pubblicato su The Lancet nel 2020: il picco verrebbe raggiunto nel 2064 con circa 9,7 miliardi di esseri umani, per poi diminuire a 8,8 miliardi alla fine del secolo.

Italia dimezzata

Per avere un’idea dei possibili squilibri demografici, occorre però spostare l’obiettivo dell’analisi dal quadro generale a quello specifico: ebbene, 23 Paesi vedrebbero addirittura la loro popolazione dimezzata. Tra questi Spagna, Giappone e Italia. Lo studio rileva che l’invecchiamento e la riduzione della popolazione in età lavorativa ostacoleranno la crescita economica globale e, di conseguenza, la capacità di finanziare l’innovazione necessaria per la transizione ecologica.

Sterile Europa

Ma la situazione è preoccupante un po’ in tutta Europa. L’articolo de Le Figaro riporta le previsioni del 2018 della Fondazione Robert Schuman dall’eloquente titolo Europa 2050: suicidio demografico. Il Vecchio Continente potrebbe perdere in vent’anni 49 milioni di persone in età lavorativa. «Con un tasso di fertilità totale vicino all’1,5, l’Europa avrà domani generazioni di giovani lavoratori un terzo in meno di quelle attuali», si legge. «Una diminuzione del numero delle nascite è, per un Paese, l’equivalente di una diminuzione degli investimenti per un’azienda; ciò consente di beneficiare, per un certo tempo, di un flusso di cassa più confortevole, a costo di gravi problemi successivi».

Ripercussioni

Verlick giunge allora a una conclusione: «Non solo privarsi della procreazione non ha quasi alcun impatto sui cambiamenti climatici, ma l’invecchiamento della popolazione avrà profonde ripercussioni economiche, sociali e geopolitiche riducendo la capacità di reazione». Il rischio, tuttavia, è che quando ce ne accorgeremo sarà troppo tardi.

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