Last updated on Novembre 17th, 2021 at 10:42 am
Ennesima novità per le famiglie, in attesa di capire come e quando la tanto proclamata, sbandierata e postdatata rivoluzione dell’allora definito «Assegno unico figli 2021» – come è chiamato nel testo di legge delega del 6 aprile 2021 – diventato nel frattempo «assegno unico universale» – visto l’allungamento delle tempistiche previste – prenderà effettivamente il via.
Se, infatti, la partenza era stata prevista dal gennaio 2022, così da sostituire gli assegni familiari per i dipendenti, e la misura temporanea dell’assegno ponte introdotto dallo scorso giugno per autonomi e disoccupati, con il decreto attuativo – che dovrebbe vedere la luce nei prossimi giorni – è previsto che le famiglie possano iniziare effettivamente ad inoltrare le domande a partire dal primo mese del nuovo anno, ma le prime erogazioni dovrebbero (il condizionale è veramente d’obbligo) partire da marzo 2022.
Non uno slittamento, ma una scelta di realismo pratico
Non è detto che si tratti, in realtà, di una cattiva notizia per le famiglie. Le cifre che verranno erogate ai nuclei familiari italiani, infatti, dovranno essere calcolate tenendo conto dell’ISEE dell’anno precedente. Ed è effettivamente impossibile immaginare che tutte le famiglie italiane possano munirsi in tempo dell’attestazione valida per inoltrare la domanda.
La proroga per i primi due mesi del prossimo anno di assegno “ponte” e assegni familiari oggi in vigore, richiesti a partire dal luglio scorso, dovrebbe permettere la serenità necessaria nelle settimane in cui adempiere alle pratiche burocratiche per attivare – finalmente – l’assegno unico “definitivo”. Non sono state poche, infatti, le difficoltà affrontate dalle famiglie che hanno subito quel che è stato definito un «super-ritardo» nell’erogazione dell’assegno ponte: «tempi biblici e tanta incertezza, anche perché trattandosi di un aiuto nuovo l’INPS ci ha messo ancor più settimane ad analizzare tutte le domande». Per una misura che avrebbe dovuto restare in vigore solo fino al 31 dicembre 2021, non è un piccolo disagio il fatto che molte famiglie stiano ancora aspettando gli arretrati, che l’INPS aveva promesso di smaltire entro ottobre.
Totalmente irrealistico, dunque, immaginare che l’INPS riesca a reggere il passaggio alla nuova misura quando ancora non è entrata a regime quella provvisoria. Altrettanto irrealistico, per altro, che i CAF riescano ad affrontare le pratiche necessarie a tutte le famiglie italiane per elaborare il calcolo dell’ISEE entro il mese di gennaio. Non è scontato nemmeno che i due ulteriori mesi previsti saranno sufficienti.
Nessuna certezza, tante ipotesi. Non tutte rassicuranti
Al di là, poi, delle lungaggini burocratiche e dei disguidi che le famiglie sarebbero anche disposte a sopportare per un breve periodo, in vista di una riforma effettivamente funzionale e adeguata alle necessità e ai bisogni presenti, la misura dell’assegno unico resta tutt’ora circondata da un’aura di incertezza e inquietudine. Anzitutto, non è detto che tutte le famiglie vadano a guadagnarci, anzi. Anche se dovrebbe essere effettiva – come di fatto non è – la certezza di un miglioramento del sostegno per ogni tipologia di famiglia, indipendentemente dai redditi, dalle età e dal numero dei figli, più di una previsione sottolinea come ci siano nuclei familiari che andranno addirittura a perderci. Pare concreta, infatti, la possibilità che centinaia di famiglie di lavoratori dipendenti percepiscano un importo inferiore rispetto a quello che ricevono ora in busta paga. E non si parla soltanto di famiglie ad alto reddito, o con figli di età superiore ai 21 anni: diverse simulazioni hanno evidenziato come «quasi in tutti i casi vi siano tagli rilevanti alla busta paga».
L’iniquità della mancetta di Stato
Quel che appare più grave, comunque, non son tanto i tempi lunghi o i difetti – speriamo correggibili – della manovra tanto cara al ministro Bonetti, ma l’iniquità del provvedimento stesso, nel suo impianto di base. Come sottolinea il professor Luigi Campiglio, professore di Politica economica nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, «è importante ricordarsi anzitutto [… ] che il salario deve consentire al lavoratore, a sua moglie e ai suoi figli, di vivere dignitosamente». Si tratta di una definizione preziosa, perché «aiuta a capire che interventi di questo tipo non dovrebbero essere considerati come una sorta di “elargizione”, ma come parte del reddito da lavoro di tutta la famiglia, e a ricordare che le risorse erogate dovrebbero servire a garantire una vita dignitosa anche ai figli».
L’assegno unico, ponendosi a sostituzione non solo degli assegni familiari, ma anche delle detrazioni per i figli a carico – che verranno azzerate per tutti i lavoratori – pone di fatto una uguaglianza decisamente iniqua nel trattamento fiscale di ogni singolo lavoratore: chi si assume la responsabilità di fondare una famiglia stabile, generare ed educare figli non dovrebbe avere diritto ad una “compensazione” per le sue “fatiche”, quanto piuttosto dovrebbe vedersi riconosciuta la dignità di garantire col proprio lavoro condizioni di vita adeguate alla propria famiglia.
Non c’è nemmeno bisogno, dunque, di mettere mano alla calcolatrice per vedere quante decine di euro in più o in meno avranno a disposizione le famiglie nei prossimi mesi: è già evidente come questa riforma sia nell’impostazione, prima ancora che nell’attuazione, un ulteriore svilimento per chi in Italia oggi ha il coraggio – e la speranza – di costruire sulla famiglia.