Last updated on Dicembre 3rd, 2021 at 09:01 am
Ancora non si sa come accadrà e nemmeno se accadrà, ma «Mario» (nome di fantasia), un camionista 43enne rimasto paralizzato per un incidente stradale, è stato condannato a morte, non da un tribunale della repubblica, e nemmeno dal Comitato etico della Asl delle Marche, ma dall’ideologia eutanasica.
L’Associazione Luca Coscioni, che ha per prima diffuso la notizia, settimana scorsa, aveva riportato anche le paradossali parole di sollievo del morituro: «Mi sento più leggero e libero di scegliere». Qualcuno deve avere fatto credere a «Mario» che la soluzione ai suoi problemi sia la morte.
In realtà, come abbondantemente scritto, non vi è nessun “via libera”. C’è un parere, dato dal Comitato etico della Asl delle Marche, che parla di «elemento soggettivo di difficile interpretazione», di difficoltà nel «rilevare lo stato di non ulteriore sopportabilità di una sofferenza psichica», e di «indisponibilità del soggetto ad accedere ad una terapia antidolorifica integrativa». E quelle considerazioni non sono un elemento sufficiente a far cadere la scure e in ogni caso «non apre immediatamente la strada al suicidio assistito in Italia», ha spiegato all’agenzia LaPresse Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma.
Semmai, «sarà il tribunale di Ancona a decidere se il paziente tetraplegico di 43 anni potrà avere diritto al suicidio medicalmente assistito: il Comitato etico dal canto suo ha sollevato dubbi sulle modalità e sulla metodica del farmaco che il soggetto avrebbe chiesto, il Tiopentone sodico nella quantità di 20 grammi, senza specificare come dovesse essere somministrato», ha comunicato l’assessore alla Salute della Regione Marche, Filippo Saltamartini. Nessuna scorciatoia, insomma, perché il Comitato etico, rispondendo ai quesiti formulati dal Tribunale di Ancona, spiega Saltamartini, ha rilevato che l’interessato «ha piena capacità d’intendere e volere; non motiva quali siano i presupposti per i quali è stata richiesto il dosaggio indicato di 20 grammi, quantità non supportata da letteratura scientifica; non spiega se e con quali modalità si debba procedere tecnicamente alla somministrazione e se, in via preventiva, per conculcare lo stato d’ansia derivante dall’operazione, si voglia avvalere di ansiolitici; non risulta chiaro se deve essere utilizzato solo il farmaco indicato dal paziente, nell’ipotesi in cui non si riesca a portare a compimento la procedura di suicidio medicalmente assistito». «Il Comitato etico», ha concluso l’assessore alla Salute della Regione Marche, «rispondendo, infine, ai quesiti del Tribunale medesimo, ha ritenuto non essere di sua competenza l’eventuale individuazione di altre modalità per assicurare il decesso dell’interessato».
Questa la premessa, che bisogna sempre tenere presente. L’attualità è che sulla pelle di un uomo che sta soffrendo si è aperto un gioco a scaricabarile fra agenzie politiche, tribunali, istituzioni. Ecco perché questa «è l’occasione per regolamentare la figura e il ruolo dei comitati etici territoriali che sono nati per disciplinare le sperimentazioni cliniche e che, in attesa dei decreti attuativi, si ritrovano oggi a doversi esprimere sulla pratica clinica come, in questo caso, sul suicidio assistito», spiega Saltamartini. «Il fatto è che, essendo nati con una funzione diversa, non sempre questi comitati hanno una composizione tale – in termini di competenze – da poter intervenire su questi temi», prosegue Spagnolo che, comunque, vede nella decisione della Asl marchigiana un inizio «seppur sperimentale» per «disciplinare queste realtà».
Qui, insomma, la sfida è a prendersi la responsabilità di decidere il fine vita di qualcuno. La Pontificia Accademia per la Vita sfugge al tranello, senza «minimizzare la gravità di quanto vissuto da “Mario”», ma chiedendosi se «la legittimazione “di principio” del suicidio assistito, o addirittura dell’omicidio consenziente, non pone proprio alcun interrogativo e contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati, ed è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti?».
Quel che fa ancora più ribrezzo è che adesso in parlamento si mercanteggi sul caso. La “maggioranza” ha tentato una mediazione sul testo unificato sull’eutanasia, attualmente all’esame delle commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera. Ieri Partito Democratico (PD), Movimento Cinque Stelle (M5S) e Liberi e Uguali sono riusciti a porre fine all’ostruzionismo del Centrodestra, che cercava di far slittare ulteriormente l’approdo in Aula del provvedimento, inserendolo nel calendario. Riformulando alcuni emendamenti presentati da vari gruppi, i relatori Alfredo Bazoli (PD) e Nicola Provenza (M5S) proveranno dunque a sciogliere alcuni nodi che continuano a bloccare i lavori nelle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera. In particolare, il tentativo di mediazione si concentra sull’apertura all’obiezione di coscienza per medici e personale sanitario, possibilità, questa, non riconosciuta nel testo base, presentato in maggio e adottato dalle Commissioni a luglio, per poi subire uno stop fino alla ripresa dell’esame in autunno.
Sul testo è appunto in atto l’ostruzionismo da parte delle forze di Centrodestra (Fratelli d’Italia e Lega in primis), finora contrarie al provvedimento. L’emendamento riformulato dai relatori consente al «personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie» a non prendere parte alle procedure «per l’assistenza alla morte volontaria medicalmente assistita quando» sia stata sollevata «obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione». Tuttavia, prevede ancora l’emendamento dei relatori, «gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla legge. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Il testo base sull’eutanasia all’esame delle Commissioni dispone che le procedure di morte volontaria possano essere effettuate «presso il domicilio del paziente o, laddove ciò non sia possibile, presso una struttura ospedaliera o residenziale pubblica». Se vi fosse un “punto di caduta”, come accade ai tavoli negoziali, potrebbe consistere in uno scambio: vi concediamo di non partecipare al massacro dei sofferenti, ma almeno lasciatelo fare a noi. Un ricatto al quale non si può cedere.
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