Last updated on aprile 28th, 2021 at 02:33 am
Il Belgio ha legalizzato l’eutanasia nel 2002, inizialmente offerta solo a pazienti adulti in condizione medica (così si dice) senza prospettive di miglioramento. Nel 2014 la legge è stata poi rivista per consentire l’eutanasia anche sui minori, senza limiti di età. Il bambino più piccolo soppresso in Belgio aveva solo 9 anni. «Tra il 2003 e il 2018», informa l’Iona Institute di Dublino, «il numero di persone sottoposte a eutanasia è cresciuto di circa il 1000%». “iFamNews “ si era già occupato del perverso sistema belga, dove è sufficiente una delusione d’amore e una diagnosi falsificata di sindrome di Asperger per venire soppressi “legalmente”. Ma il caso della povera Tine Nys non è purtroppo un evento isolato.
Lo studio dell’Università di Ghent
Angelo Bottone, ricercatore dell’Iona Institute, cita un recente studio accademico elaborato dall’Università di Ghent, appunto in Belgio, e condotto da tre ricercatori (Kasper Raus, Bert Vanderhaegen, Sigrid Sterckx) non contrari all’eutanasia in linea di principio, eppure preoccupati perché «diversi requisiti legali che fungerebbero da salvaguardie e garanzie procedurali non riescono in realtà a funzionare come tali», con conseguenze etiche e giuridiche spesso problematiche.
Un primo campanello d’allarme riguarda la semplice analisi dei numeri: se nel 2002 i casi di eutanasia legalizzata furono 24, nel 2019 il numero era salito a 2655. Un tale incremento esponenziale richiede un’analisi profonda degli sviluppi della pratica eutanasica nel Paese. Secondo i ricercatori dell’Università di Ghent sono tre gli ambiti problematicità della situazione: anzitutto vi sono carenze nella legislazione stessa, quindi ve ne sono anche nella sua applicazione, in terzo luogo lacune si lamentano pure nel monitoraggio della pratica eutanasica.
Da mali incurabili e terminali alla «stanchezza del vivere»
Per quanto riguarda la legislazione, se all’inizio si faceva riferimento solo a casi di «malattie gravi e incurabili», nel tempo il campo di applicazione si è allargato fino a comprendere la «stanchezza del vivere». Se infatti la legge prevede che il paziente provi «una sofferenza fisica o psicologica costante e insopportabile, che non possa essere alleviata», gli standard per giudicare il livello di “sopportabilità” della sofferenza sono totalmente soggettivi e dipendono dal giudizio insindacabile del paziente. Il criterio di incurabilità, inoltre, non esclude tutte quelle condizioni che sarebbero curabili, o quanto meno alleviabili, ma con un trattamento che il paziente decide di rifiutare.
Proprio come nel caso di Tine Nys, una sofferenza psicologica che non trovi apparente via d’uscita, almeno nell’immediato, diventa ragione sufficiente per porre fine alla vita di una persona. Non basta forse questo giudizio per rafforzare la convinzione che ci siano molteplici condizioni per cui la vita non valga la pena di essere vissuta, senza che si arrivi a parlare di malattie fortemente invalidanti e in stato terminale? Questa semplice considerazione basta per dimostrare come la legge, lungi dall’alleviare le sofferenze del popolo, ne indirizzi i criteri di giudizio verso una concezione riduzionista dell’esistenza. È lo Stato stesso a suggerire che la vita, se non risponde a determinate aspettative, è un fardello che vale la pena di scrollarsi dalle spalle.
Questo, peraltro – ed ecco il secondo punto di criticità della legislazione belga –, senza che il parere di un secondo professionista, pur richiesto secondo norma, possa in alcun modo proporre un’alternativa legittima. Se infatti il medico chiamato a un secondo parere ravvisasse la mancanza di soddisfazione dei criteri legali per applicare l’eutanasia, non avrebbe comunque i mezzi per segnalarlo o per impedire l’esecuzione della soppressione legale del paziente. I medici consultati possono, al massimo, dare dei consigli, ma l’autorità finale per eseguire l’eutanasia spetta al medico curante, che può agire contro il parere dei medici consultati.
Un’accusa bruciante alla Commissione di controllo
Esiste poi una Commissione di controllo, deputata al monitoraggio – terzo ambito – dell’applicazione della legge: laddove questa Commissione dovesse ravvisare la mancanza dei criteri giuridici, dovrebbe deferire il caso al pubblico ministero. Ecco, dall’entrata in vigore della legge – il 2002 – è avvenuto una sola volta.
La Commissione ha infatti l’autorità per (re)interpretare la legge come ritiene opportuno, e non è di fatto in grado di verificare il rispetto dei criteri legali. Anche perché, nella relazione dei casi di eutanasia, non viene richiesta la consulenza del secondo professionista, il quale potrebbe eventualmente sollevare dubbi sull’operato del medico curante.
La Commissione, di fatto, lungi dall’essere una tutela contro l’uso indiscriminato della legge, funge da «scudo che impedisce il rinvio di casi potenzialmente problematici». Non è un caso che molti dei medici della Commissione siano leader nella pratica dell’eutanasia, inclini a “proteggersi” reciprocamente e ad agire con “impunità”, come accusa l’Associated Press.
Il caso dei pazienti psicologicamente incompetenti
Esiste anche una memoria giuridica depositata presso la Corte europea dei diritti dell’uomo secondo cui «la legge belga sull’eutanasia non protegge il diritto fondamentale alla vita». Ne è autore Tom Mortier, la cui madre, affetta da depressione cronica, è stata soppressa nel 2012 con iniezione letale, senza coinvolgimento di alcuno dei familiari, avvisati solo dopo il decesso.
Addirittura uno dei membri della Commissione, Ludo Vanopdenbosch, si è dimesso, nel settembre 2017, proprio in seguito al caso di un paziente affetto da demenza grave e morbo di Parkinson che era stato sottoposto a eutanasia senza averne avanzata alcuna richiesta. Nonostante l’evidenza delle violazioni, la Commissione ha deciso di non deferire il caso al pubblico ministero. Vanopdenbosch ha poi commentato così: «Le ragioni di chi non ha voluto portare avanti il caso sono di natura fondamentalmente politica: difendere l’eutanasia a tutti i costi».
Eppure, mancando la richiesta del malato, non si è trattato di eutanasia, ma del «decesso volontariamente provocato di un paziente». Come ha affermato il dottor An Haekens, direttore psichiatrico nell’ospedale Alexianen di Tienen, «per descrivere il fatto non esiste altra parola se non “omicidio”»
Ora, i casi di eutanasia su pazienti psicologicamente incompetenti sollevano una problematica tale da avere spinto più di 360 medici e accademici a firmare una petizione al fine di ottenere controlli più severi sull’eutanasia per pazienti psichiatrici.
«L’eutanasia sta rapidamente diventando la norma piuttosto che l’eccezione […] ed è importante dimostrare che non esiste un punto di arresto logico una volta che si percorre quella strada», afferma Robert Clarke, avvocato inglese che rappresenta Tom Mortier alla Corte europea dei diritti dell’uomo. In effetti in Belgio vengono soppresse ogni giorno più di sei persone, e questo contando solo i rapporti ufficiali, che sarebbero molto inferiori ai casi effettivi che nemmeno giungerebbero alla Commissione. È una menzogna, chiosa l’avvocato Clarke, affermare «che l’eutanasia fa bene alla società. I malati, i sofferenti, gli anziani e i vulnerabili nella nostra società meritano il massimo del rispetto e attenzione».
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