Last updated on Novembre 3rd, 2020 at 02:02 pm
Su vita e famiglia un Paese ex comunista dove c’è molto da lavorare è sicuramente la Romania, un Paese da incubo letteralmente senza vita. Il 6 dicembre i romeni sono chiamati alle urne per rinnovare il parlamento: tra le nuove formazioni politiche in lista, c’è Alianta Renasterea Nationala, «Alleanza per il Rinnovamento Nazionale», il primo vero partito integralmente ispirato a valori cristiani. Peter Costea, iniziatore del movimento romeno per la vita, ne è uno dei fondatori.
Partiamo dalla legislazione sull’aborto. In che anno la Romania lo ha depenalizzato? E come si è evoluta la situazione dai tempi del regime comunista a oggi?
La Romania ha seguito le orme dell’Unione Sovietica, legalizzando l’aborto a richiesta nel 1957. Tuttavia, quando salì al potere a metà degli anni 1960, Nicolae Ceausescu (1918-1989) impose una serie di restrizioni che, di anno in anno, sono diventate sempre più severe. Non significa ovviamente che Ceausescu fosse pro-life: limitò infatti gli aborti solo per trasformare la Romania in una potenza demografica europea. Ceausescu penalizzò dunque le donne che abortivano, permettendo persino che alcune morissero dissanguate. Anche i contraccettivi erano illegali. Poi, il 26 dicembre 1989, al momento della sua caduta, le restrizioni furono abolite e l’aborto divenne completamente legale, dilagando. Si stima che, soltanto tra il 1990 e il 1992, siano stati abortiti due milioni e mezzo di bambini. In mezzo secolo, tra il 1957 e il 2007, gli aborti sono stati circa 20 milioni: un numero sbalorditivo e una vergogna nazionale. Nuovi limiti, tuttavia, sono stati imposti a partire dal 1996, cosicché l’aborto è ora consentito fino alla quattordicesima settimana di gravidanza.
A differenza di Polonia e Ungheria, in Romania i movimenti pro-life non sono particolarmente forti: perché?
Il movimento per la vita è sorto nel primo decennio post-comunista. Diversi deputati eletti in parlamento si sono rivolti alla coscienza del Paese additando gli orrori dell’aborto e sottolineando l’insostenibilità della soppressione della vita dei nascituri. Ne è sorto l’impegno di blogger e attivisti che, ispirandosi ai movimenti occidentali, ha organizzato marce per la vita e veglie davanti alle cliniche abortiste.
Ma il movimento romeno è debole. Non c’è infatti una vera volontà politica di sollevare la questione dell’aborto in pubblico. Tacciono persino i pochi deputati cristiani che seggono in parlamento. Il tema pare insomma essere tabù. Poi ci sono le pressioni esercitate dall’Unione Europea, dal Parlamento Europeo e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sfortunatamente gli europarlamentari romeni, a differenza dei colleghi polacchi, ungheresi e, recentemente, anche bulgari, votano costantemente a favore dell’aborto e dei presunti diritti LGBT+.
Infine c’è la zavorra del nostro passato. Sotto il comunismo la vita era estremamente dura e spesso le donne abortivano illegalmente per prevenire ulteriori disagi alla famiglia. Pensavano cioè che fosse meglio per tutti evitare di mettere al mondo un altro essere umano che avrebbe dovuto essere curato, nutrito, vestito e allevato. Il regime comunista aveva praticamente reso l’aborto illegale e il governo aveva imposto misure drastiche per costringere le donne ad avere figli. Ma quelle politiche hanno fallito e, assieme alla miseria economica, hanno avuto un impatto psicologico grave sulle donne. Le figlie delle donne che hanno abortito in quegli anni sono consapevoli di questo triste capitolo della storia romena e si sono abituate ad abortire a propria volta senza troppi rimpianti. Naturalmente le circostanze sono cambiate. Nell’era dell’abbondanza le ragioni economiche o psicologiche non possono, in alcuna circostanza, essere invocate per giustificare la lenta uccisione di un’intera nazione attraverso l’aborto.
Come è nato Alianta Renasterea Nationala (ARN) e quali sono i suoi obiettivi?
ARN è un’estensione della piattaforma politica che promossi quando mi candidai al Parlamento Europeo nelle elezioni del 2019 da indipendente. Mi occupo di vita e famiglia dal 2005 e nel 2007 ho fondato l’Alleanza delle Famiglie di Romania. In quella veste ho fatto il possibile per premere, nelle istituzioni e nei consessi europei, così come nel parlamento del mio Paese, affinché fossero garantiti il diritto a nascere, la famiglia naturale, i diritti dei genitori, la libertà religiosa e gli interessi della comunità cristiana. Sebbene numerosi e sostenuti, il più delle volte i miei sforzi non hanno sortito effetto. Mi sono però reso conto che un partito politico basato sui princìpi cristiani avrebbe potuto riscuotere più successo.
Nel 2019 ottenni ufficialmente oltre 130mila voti, ma la base che riuscimmo a creare era di almeno 150mila elettori. Valeva la pena non fermarsi lì, ma proseguire l’impegno. Gli obiettivi dell’ARN sono gli stessi che perseguivo allora. Ci opponiamo alla cultura della morte, cercando di rafforzare la giovane democrazia rumena, lo Stato di diritto, i diritti fondamentali, l’educazione parentale. L’obiettivo cruciale è ora cercare di invertire il declino demografico in cui versiamo.
La Corte costituzionale rumena si è recentemente pronunciata a favore della libertà educativa dei genitori. Quanto è forte l’ideologia gender nel suo Paese?
Sì, la Corte costituzionale ha decretato il consenso informato dei genitori all’«educazione sanitaria» dei ragazzi, «atta a prevenire gravidanze indesiderate e malattie trasmissibili». È stata una grande vittoria delle famiglie. L’ideologia gender è invece un avversario più difficile. La Romania ha firmato la Convenzione di Istanbul, che impone indirettamente l’ideologia gender ai Paesi firmatari, e il parlamento rumeno l’ha ratificata, trasformandone i contenuti in legge dello Stato. Non significa, ovviamente, che la Romania sia obbligata a imporre l’insegnamento del gender nelle scuole, ma la pressione in questo senso c’è, e proviene dall’Unione Europea (UE) e dalle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite. Per combatterla, l’ARN si opporrà all’ILO-190, la nuova direttiva che la UE sta impiegando per costringere gli Stati membri proprio ad adottare il gender nei propri ordinamenti giuridici. Slovacchia, Ungheria e Polonia già si oppongono a questa strategia. La nostra speranza è che ARN entri in Parlamento e impedisca all’ILO-190 di entrare nella legislazione rumena.
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