Dittatura della pretesa, edizione estiva

Allo studio la scelta di non generare e il desiderio di accettazione sociale. A prescindere

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Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:28 pm

Jennifer Waltling Neal e Zachary P. Neal insegnano nel dipartimento di Psicologia dell’Università statale del Michigan, negli Stati Uniti d’America. I due docenti hanno pubblicato di recente i risultati di uno studio condotto su circa mille persone adulte residenti nello Stato nordamericano, per evidenziare le caratteristiche precipue degli individui cosiddetti childfree, cioè che non hanno figli né li desiderano, ed eventuali differenze rispetto a chi non può averne (definiti invece childless), a chi è già genitore e a chi immagina di diventarlo in futuro.

Per la verità, la psicologia e la sociologia hanno iniziato a occuparsi della condizione degli adulti senza figli fin dagli anni 1970, non a caso quelli della cosiddetta liberazione sessuale e dello stravolgimento della famiglia tradizionale, e una pubblicazione autorevole del 2013, None is Enough: Why Americans are Choosing Not to Have Children, della giornalista e autrice Lauren Sandler e pubblicata a cura del Time, offriva già una panoramica piuttosto completa sulle motivazioni che spingevano gli statunitensi a «scegliere di non avere figli».

La differenza sostanziale della ricerca attuale consiste nel differenziare con precisione maggiore il gruppo di persone che effettivamente sceglie di non generare, rispetto a un secondo gruppo, composto invece da adulti che hanno generato, che contano di farlo nel futuro, oppure che non possono generare per motivi di infertilità. La discriminante, cioè, è rappresentata dal non desiderio di divenire genitori, dalla scelta di non esserlo, e ciò dal punto di vista antropologico è evidentemente significativo.

Lo studio si intitola Prevalence and characteristics of childfree adults in Michigan (USA), prende spunto dall’evidenza della crisi demografica che attraversa gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali industrializzati, e offre un quadro che pare stupire anche i suoi estensori: il 27%, oltre un quarto, degli adulti residenti nello Stato nordamericano si definisce childfree e afferma di non desiderare figli, né ora né mai.

Se si tiene presente che il Michigan è uno Stato ben rappresentativo della realtà statunitense nel suo complesso, in termini di etnia, età, reddito e istruzione, e che il 35% dei quasi 2 milioni di childfree identificati vive in una relazione di coppia stabile, ne consegue facilmente il profilarsi di un gran numero di famiglie dalle caratteristiche inedite.

La ricerca, poi, passa a valutare se esistano discrepanze rilevanti fra individui childfree e genitori o aspiranti tali, per evidenziare come fra il primo e il secondo gruppo non vi siano in sostanza differenze rispetto alla life satisfaction, il livello di soddisfazione cioè che offre la propria esistenza così come la si è impostata, e solo un moderato divario nei tratti della personalità e nell’ideologia politica.

Chi non desidera figli, in particolare, risulterebbe più liberal rispetto a chi è già genitore o desidera diventarlo. Ciò non è una semplice nota, priva di implicazioni. Nei risultati dello studio, infatti, gli autori affermano che «[…] È più probabile che individui più liberal decidano di non avere figli per promuovere o facilitare ruoli di genere più egualitari, o per una preoccupazione per l’ambiente, riconoscendo che la scelta di non avere figli è la singola azione più incisiva che un individuo può intraprendere per ridurre le emissioni di carbonio». Sconvolgente, ma purtroppo vero, come anche «iFamNews» ha già avuto modo di raccontare.

I due docenti hanno poi affrontato un altro argomento importante, si sono chiesti infatti se l’insieme delle persone childfree costituisca un outgroup, se siano cioè considerati un gruppo a sé, visto magari con un occhio di sospetto, o di disagio, o di disapprovazione. Se esista, in parole povere, una sorta di stigma sociale che renderebbe gli individui con figli meno ben disposti verso chi non ne desidera rispetto a quanto lo siano fra loro le persone childfree. In tal caso, la risposta dei due ricercatori pare essere affermativa. Resta da comprendere però se la solidarietà implicita fra childfree non arrivi a costituire una sorta di “casta” o di lobby, pronta alla richiesta a gran voce di speciali “diritti”, come spesso si vede accadere.

L’edizione italiana di Vanity Fair, settimanale di attualità, costume, moda e bellezza del gruppo Condé Nast, rilancia sui social e sul profilo Instagram della rivista i commenti sono a tal proposito estremamente interessanti.

Moltissimi follower sottolineano come la scelta di avere figli oppure no sia squisitamente personale (auspicabilmente condivisa nella coppia, però, quantomeno, pena grande infelicità e un fallimento quasi assicurato) e comunque diritto di ciascuno.

Qualcuno suggerisce il rischio prevedibile di pentirsi della scelta di non aver voluto figli in un’età in cui non sia poi più possibile averne. A meno che non si valuti l’opzione della «maternità surrogata».

Qualcuno ancora afferma che «[…] i figli sono meravigliose aggiunte alle coppie ma non un obbligo per essere chiamati famiglia o sentirsi completi». Altrimenti, c’è sempre la possibilità di prendere un cane.

Vi è chi lamenta i costi economici della genitorialità, pare insostenibili per molti, oppure i costi diciamo così simbolici legati alla rinuncia della donna alla piena realizzazione professionale o alla vita vissuta in base al proprio desiderio istantaneo.

Qualcun’altro si scandalizza che ancora nel 2021 si guardi alle persone in base alla scelta di generare oppure no (sai com’è, il rischio altrimenti sarebbe l’estinzione della specie…).

Infine, un commento chiosa, significativamente: «[…] che non tutte le scelte individuali devono trasformarsi in movimenti» e raccoglie 173 like. Come di diceva? Ah, ecco: la dittatura della pretesa.

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