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L’«utero in affitto» equo e solidale, ennesima follia

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L’«utero in affitto» equo e solidale, ennesima follia

Vi si oppongono la morale, il buon senso, la ragione, ma soprattutto la scienza. Quella vera

Rachele Sagramoso di Rachele Sagramoso
08/11/2020
in Scienza
535
Reading Time: 4 mins read
0
Donna in gravidanza

Image by Petra Šolajová from Pixabay

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Last updated on Dicembre 9th, 2020 at 04:48 am

La grande battaglia, del tutto ideologica e priva di qualsivoglia razionale morale e scientifico, che sta portando avanti chi vorrebbe in tutti i modi regolamentare l’«utero in affitto» come pratica solidaristica, sta trovando oppositori scientifici.

Nello specifico, e solo per comodità momentanea, valuto qui sia la proposta medico-chirurgica, promossa e sostenuta dal dottor Marcello Pili (che parla a nome dell’associazione, eugenista e abortista,  intitolata a Luca Coscioni), sia quella della dottoressa Clementina Peris, ginecologa nell’ospedale Sant’Anna di Torino. La Peris, forte del fatto che sia già stato effettuato con successo, propone il trapianto di utero per le donne affette da sterilità, per lo più dovuta alla sindrome di Rokitansky: ovvero assenza sia di utero sia di canale vaginale. Tale trapianto avviene con organi espiantati da donne decedute, ma vi sono numerosi studi che stanno valutando la possibilità morale e deontologica del trapianto dell’utero da donne viventi: in merito valgono le riflessioni della professoressa Giorgia Brambilla.

La dottoressa Peris sa bene ciò che ogni esperta nel campo afferma con certezza: la solidarietà nell’affitto del proprio utero pressoché non esiste (parimenti, dice, all’indisponibilità alla donazione di ovociti, per esempio in Italia) ed è impossibile che avvenga senza sfruttamento: siamo lieti che faccia menzione del fatto che per dare amore e protezione a un bambino già nato si possa ricorrere all’adozione e all’affido.

Com’è noto, tuttavia, la posizione di chi si batte per l’«utero in affitto» e per tutte le tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), al contempo obiettando in coscienza in caso di applicazione della Legge 194, e questo stona, sta nel fatto che si debba poter avere il diritto (derivante dal desiderio) di generare o di possedere un figlio totalmente o parzialmente geneticamente proprio. Tale visione, nella quale i bambini già nati sono di seconda categoria, e perciò l’adozione squalifichi la genitorialità, serve appunto per portare avanti la legiferazione solidaristica dell’«utero in affitto».

Pili è convinto che sia più rischioso il trapianto d’utero rispetto allo sfruttamento della gestazione per altri (o GPA) solidale, perché la donna sarebbe costretta a una gravidanza ad alto rischio (come tutte le donne che si sottopongono a una PMA) e potrebbe essere sottoposta a un cesareo (intervento che oramai è rapidissimo e quasi sempre privo di rischi, motivo per cui è diffusissimo) e un’isterectomia (come talvolta accade in caso di apoplessia utero-placentare, di rottura d’utero irreparabile e altri), e pare promuova la strada della fisiologia dell’assistenza alla gravidanza e al parto (quasi non sapesse che prima che una donna riesca a portare a termine una gravidanza con embrioni fecondati in vitro, possono sussistere diversi problemi, sia per la donna medesima che per il nascituro).

Questa piccola battaglia quotidiana di tantissime ostetriche e di alcuni ginecologi sta fondamentalmente tentando di abbassare le percentuali di tagli cesarei, che in Italia sono imbarazzanti. Tutto molto strano alle orecchie allenate di chi promuove il rispetto della donna e del bambino, in quanto si sa benissimo che l’assistenza alla nascita in modo rispettoso possiede in sé il presupposto dell’assoluto riguardo nei confronti dell’attaccamento madre-bambino.

Pili, infatti, fa un mero discorso ideologico, poiché nel suo documento non nomina i bambini come soggetti, ma lo fa parlandone come di oggetti (come spesso fanno i medici che promuovono la PMA). Chiunque affermi che la GPA sia “cosa buona” sa perfettamente come il bambino che nasce da essa sia il prodotto perfetto di una serie di tentativi che eliminano ciò che non lo è. Viene quindi da chiedersi cosa possa interessargli di come una mamma metta al mondo il figlio tanto desiderato, se della salute di quel bambino non gli interessa.

L’ostetricia era la branca della medicina che tentava di salvare sia la madre sia il nascituro: questo perché la madre avrebbe voluto sempre sacrificarsi per il bimbo, sapendolo il futuro della propria vita e di quella della società. Fisiologicamente, infatti, le levatrici che continuano a parlare di un’assistenza alla nascita rispettosa non solo sono ovviamente contro l’aborto (alcune lo accettano come ultima ratio delle difficoltà materne nel portare avanti la gravidanza), ma sono pure testimoni del fatto che l’interruzione della relazione madre-bambino (artificiale o naturale, in gravidanza o dopo) sia una sofferenza enorme per entrambi, della quale sono testimoni i genitori adottivi, per esempio.  

I bambini: chiediamoci sempre dove sono i bambini.

Rachele Sagramoso

Rachele Sagramoso

Educatrice di scuola materna, laureata in Ostetricia quando era incinta della terza figlia, libera professionista, si occupa della salute delle donne dal grembo materno in poi. Sostenitrice della fisiologia della gravidanza, dell’attaccamento madre-bambino, della fertilità, promuove l’empowerment femminile a partire dal rispetto della vita dell’embrione. Approfondisce costantemente ogni tema riguardante la femminilità e forma le madri in attesa, facendo volontariato nelle parrocchie. Mamma di famiglia numerosa, è attiva nel campo delle relazioni genitori-figli e dell’educazione affettiva e sessuale. Scrive su La Croce Quotidiano e su due blog: La Vera Maternità, che si occupa di temi “ostetrici”, e Sei di tutto, dove racconta le vicende della sua famiglia

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