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Covid-19, il vaccino: quali implicazioni etiche?

È moralmente accettabile un vaccino il cui sviluppo implichi l’utilizzo di linee fetali umane?

Cristina Tamburini di Cristina Tamburini
10/07/2020
in Editoriali, Scienza
497
Reading Time: 5 mins read
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Vaccino Covid-19

Image from Pixabay

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Il 5 giugno 2019 il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump, ha imposto restrizioni significative al National Institutes of Health (NIH) ‒ la maggiore agenzia biomedica del mondo, dipendente dal ministro statunitense della Salute ‒ vietando di finanziare la ricerca che coinvolge l’utilizzo di tessuto fetale derivante da aborti elettivi. L’azzeramento del finanziamento pubblico alle pratiche di laboratorio basate su manipolazione dei feti è stato considerato «ulteriore manifestazione della volontà dell’amministrazione Trump di difendere la dignità delle persone dal concepimento alla loro fine naturale».

La decisione è ovviamente finita nel mirino delle critiche della comunità scientifica: l’impedimento a utilizzare tessuto umano proveniente da feti abortiti interromperebbe infatti ricerche salvavita. Il disaccordo si è concretizzato in una lettera che un certo numero di parlamentari Democratici ha inviato al ministro della salute, Alex Azar, per chiedere la sospensione delle restrizioni onde «prevenire, sviluppare trattamenti e curare il nuovo coronavirus». Senza l’utilizzo di materiale umano fetale, infatti, gli Stati Uniti, dicono i firmatari della lettera, non riuscirebbero a «guidare il mondo ad avanzare nella ricerca in grado di alleviare questa pandemia».

Il tessuto fetale nella ricerca medica

Perché è così importante l’utilizzo di tessuto fetale umano nella ricerca medica, soprattutto per gli studi finalizzati alla produzione di vaccini? Considerando la ricerca focalizzata sullo sviluppo di un vaccino contro il CoViD-19, uno dei problemi affrontati dagli scienziati è stata la difficoltà di infettare piccoli animali da laboratorio – come i topi – con il coronavirus. Altri generi di topi, quelli dotati di polmoni simili a quelli umani derivati, sono invece risultati sensibili alle infezioni e quindi utili per testare potenziali trattamenti contro il virus. Il tessuto fetale umano sarebbe dunque necessario per produrre animali da laboratorio geneticamente modificati in modo da esser più simili agli esseri umani nelle caratteristiche specifiche per la malattia oggetto della ricerca. Linee cellulari fetali umane sono del resto necessarie, così mostra la storia della ricerca sui vaccini, per la coltivazione dei virus. È così che, negli anni, scimmie, criceti e topi transgenici sono stati modificati in modo da sviluppare il gene del recettore delle cellule umane preso di mira dal virus.

Una questione etica

Esiste una prospettiva secondo la quale può essere giusto, o anche solo accettabile, utilizzare materiale fetale umano abortito nella ricerca medica? Anzitutto non si può pensare che chi pure condivida la liceità dell’aborto debba necessariamente accettare l’utilizzo di un essere umano (e l’appartenenza del nascituro al genere umano è chiaramente stabilita dalla scienza, senza necessità di ulteriori giudizi etici o addirittura religiosi) ai fini della ricerca scientifica. Non ha statura argomentativa neppure il tentativo di “giustificare” l’opportunità di “fare del bene” in seguito a un’azione riconosciuta in sé “cattiva”. Anzitutto, infatti, se veramente da un atto intrinsecamente malvagio si fosse in grado di riconoscere conseguenze positive, questo modificherebbe significativamente la percezione della malvagità dell’atto in sé, ponendo le premesse per lo sdoganamento dell’atto stesso. In secondo luogo, non è eticamente accettabile immaginare che un insieme di esseri umani possa essere identificato non solo per essere ucciso a piacimento – come già avviene con l’aborto elettivo – a beneficio di un singolo individuo, ma perché i suoi resti fisici vengano usati, senza alcun consenso da parte degli interessati, a beneficio della società.

L’affermazione secondo cui la medicina, finalizzata alla cura degli individui, debba necessariamente perseguire lo sviluppo di un vaccino contro il CoViD-19 a qualsiasi costo – e quindi anche con l’utilizzo di materiale fetale umano abortito – contiene una contraddizione interna: non è possibile, infatti, giustificare la distruzione deliberata della vita e della salute di alcuni per promuovere il benessere di altri. Proprio in un momento di crisi, quale quello odierno, è necessario che i princìpi etici messi alla prova vengano mantenuti strenuamente al fine di determinare il tipo di società che uscirà dalla crisi.

Risvolti pratici delle questioni etiche

Le restrizioni imposte dall’amministrazione Trump hanno peraltro validità sulle ricerche scientifiche successive alla loro entrata in vigore. Esistono linee fetali prodotte prima del giugno scorso che continueranno a essere utilizzate per lo sviluppo di ricerche e di vaccini, così come esistono animali di laboratorio già geneticamente modificati e quindi ricettivi al virus. Questa considerazione, squisitamente pratica, sarebbe di per sé sufficiente a respingere la richiesta di sospensione delle restrizioni. Di fatto il governo ha già stanziato 450 milioni di dollari a beneficio della società farmaceutica Johnson & Johnson per un vaccino che verrà coltivato su una linea fetale umana sviluppata prima di giugno 2019.

Esistono inoltre progetti di ricerca alternativi che non prevedono l’utilizzo di linee cellulari fetali: quantomeno dare priorità allo sviluppo di un vaccino privo di cellule fetali riconoscerebbe l’importanza delle profonde obiezioni morali sollevate contro l’utilizzo di esseri umani (o dei loro resti) in vista del benessere di altri esseri umani. Come appare profondamente ingiusto stabilire criteri di cura in base alle intenzioni – abbandonando preventivamente un malato in condizioni di fragilità pregresse onde “conservare il posto” per pazienti più meritevoli –, così è moralmente inaccettabile l’utilizzo di esseri umani – anche se già deceduti – per promuovere la salute di altri. Un paragone chiarifica il concetto in modo eccellente: come sottolinea The New Atlantis «utilizzare organi di prigionieri giustiziati per il trapianto. […] Anche i medici che ritengono che la pena capitale sia legittima non dovrebbero espiantare gli organi dai condannati per trapiantarli, poiché tale partecipazione all’uccisione deliberata è contraria agli scopi e al fine della  medicina». A meno di iniziare a pensare che il “modello cinese” abbia davvero il suo perché.

Tags: NIHtessuto fetalevaccini
Cristina Tamburini

Cristina Tamburini

Cristina Tamburini, laureata in Filosofia con una tesi in Antropologia filosofica sull'utilitarismo contemporaneo, moglie e mamma di sette figli, non ha mai abbandonato lo studio e la passione per l’antropologia filosofica, l’etica e la bioetica. Ha tradotto in italiano diversi testi, fra i quali Azione e condotta: Tommaso d’Aquino e la teoria dell’azione di Stephen L. Brock e Intenzione di G. Elizabeth M. Anscombe, estendendo i propri interessi alla Teologia (in particolare all’Escatologia e alla Dottrina sociale della Chiesa). Ha curato il blog Sì, sono tutti miei! per raccontare e approfondire il maternage e la quotidianità in una famiglia numerosa.

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