Last updated on Gennaio 28th, 2021 at 01:07 pm
L’Ungheria è appena uscita sostanzialmente vittoriosa, assieme alla Polonia, dal braccio di ferro che per giorni l’ha opposta all’eurocrazia di Bruxelles e quindi tira subito diritto, mostrando cosa significhi «Stato di diritto» e rispetto della legge fondamentale entro i propri confini.
Dopo avere approvato, in maggio, una legge che proibisce alle persone trans di cambiare il genere registrato sul proprio certificato di nascita, ieri Budapest ha approvato un emendamento alla Costituzione che vieta il cambio di sesso, riaffermando esplicitamente che il genere di una persona è quello che viene stabilito dalla natura alla nascita in coincidenza con il sesso biologico e che questi non sono disgiungibili, dunque modificabili.
«L’Ungheria», recita l’emendamento approvato, «protegge il diritto dei bambini all’identità sessuale con la quale sono nati e garantisce un’educazione corrispondente ai valori che sono alla base dell’identità costituzionale e alla cultura cristiana dell’Ungheria».
Ecco qui ribadita, ancora una volta, la vera natura del contenzioso fra Budapest (e Varsavia) e Bruxelles, ben oltre le caricature che di quello scontro sono state date. L’Ungheria non è un’astrazione, una metafora, un sogno, un progetto. L’Ungheria è una realtà concreta e storica di persone che in qualche cosa si differenzia da altre realtà concrete e storiche di persone, poiché, evidentemente, se così non fosse, non vi sarebbe ragione di chiamare «Ungheria» l’Ungheria. Se fra l’Ungheria e la non-Ungheria non vi fosse infatti differenza, non servirebbe a nulla definire «Ungheria» l’Ungheria. Del resto è forse proprio questo ciò a cui Bruxelles punta: cancellare l’Ungheria, e la Polonia, e la Danimarca, e la Francia, e l’Italia, e San Marino, così via.
L’Ungheria invece esiste ed esiste diversa da altri. Ciò che fa Ungheria l’Ungheria viene ora succintamente definito da Budapest come un insieme di valori che ne costituiscono quell’identità definita dalla cultura cristiana che è espressa nella e garantita dalla Costituzione del Paese. Altri Paesi, in Europa e nel mondo, hanno identità, altre identità, espresse e garantite dalla propria legge fondamentale e le identità di alcuni di questi Paesi sono figlie della cultura cristiana come l’Ungheria. Forse allora che tutti i Paesi la cui identità è definita dalla cultura cristiana siano identici? No, poiché la cultura cristiana che accomuna i Paesi di tradizione cristiana si declina poi in ciascun Paese secondo peculiarità nazionali e locali. Vale anche per altri Paesi di altra cultura: un Paese musulmano come l’Arabia Saudita è diverso da un Paese musulmano come il Kazakistan, benché un tratto di continuità li accomuni in maniera importante.
Ora, le declinazioni nazionali e locali che fanno di due Paesi di cultura cristiana realtà distinte (benché non separate), così come le declinazioni nazionali e locali che fanno di due Paesi di cultura musulmana realtà distinte (benché non separate), sono quei tratti peculiari che le costituzioni esistono per esprimere e per garantire.
Dire allora, come fa succintamente Budapest ora, che l’Ungheria è definita da un insieme di valori che ne costituiscono quell’identità che è definita dalla cultura cristiana così come espressa nella e garantita dalla Costituzione del Paese non è una conventio ad excludendum di alcuno, bensì il riconoscimento di un fatto storico e attuale tanto più importante in quanto esso è il quid che fa sì che, nel caso dell’Ungheria, l’Ungheria sia l’Ungheria (come, nel caso del Kazakistan, fa sì che il Kazakistan sia il Kazakistan).
Ed è per questo che la Costituzione ungherese ieri ha voluto rinsaldare alcuni cardini dell’identità nazionale che derivano dalla cultura cristiana che definisce il Paese. L’ideologia gender non appartiene alla cultura che definisce l’Ungheria, e che la sua Costituzione esprime e garantisce, e adesso un emendamento lo esplicita in tempi in cui il relativismo domina rendendo necessario farlo, e in cui l’eurocrazia crede di avere il diritto di ignorare le identità culturali. È così perché l’ideologia gender è estranea alla cultura cristiana che definisce l’Ungheria, ma sarebbe così se l’identità dell’Ungheria fosse definita da altra cultura a cui l’ideologia gender fosse estranea. Non è Budapest, insomma, a non avere le idee chiare in materia.
Lo stesso emendamento costituzionale varato ieri in Ungheria vieta inoltre l’adozione di figli a coppie dello stesso sesso con parole semplici e precise, dure e normali: «La madre è femminile e il padre è maschile». Sì, la bellissima e strausata frase dello scrittore inglese Gilbert K. Chesterton (1874-1936), secondo cui verrà il dì in cui anche soltanto per difendere l’ovvio occorrerà addirittura battersi all’ultimo sangue, da oggi non è più una predizione: l’Ungheria ha difeso quell’ovvio che ormai è diventato straordinario per i più. Paradossi di quello che viene chiamato «progresso».
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