Il nome di Villa Cavalletti è ignoto ai più. Eppure, questo quartier generale dei Gesuiti immerso nel verde di Grottaferrata, alle porte di Roma, è uno dei luoghi silenti ma operosi in cui è stata scritta parte della storia dello scorso secolo. È qui che dal 1958 aveva sede il «Centro Studi», quello che oggi definiremmo un think tank “benedetto” dal Vaticano dove si svolgevano veri e propri corsi d’addestramento per combattere gli errori del comunismo. Vi partecipavano sacerdoti e laici destinati a ricoprire ruoli apicali dell’associazionismo cattolico. Tra gli allievi di questo laboratorio d’idee c’era padre Antonio Caruso s.j. (1919-2010), già docente, redattore del periodico della Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica, collaboratore della segreteria di Stato vaticana.
La ristampa del libro
A lui si deve il libro Il Partito Comunista Italiano. Le origini e gli artefici, che Edizioni Fiducia hanno ripubblicato l’anno scorso, in occasione del centenario della nascita del PCI. Come scrive lo storico contemporaneista Roberto De Mattei nell’introduzione, la scelta di ridare alle stampe questo volume è un omaggio a padre Caruso, ma soprattutto un modo per «ritrasmettere alle giovani generazioni, gli insegnamenti di un anticomunismo, che mantiene tutta la sua attualità».
Tre uomini, un unico comunismo
L’autore sviscera le finalità originarie del PCI analizzando tre figure chiave: Amadeo Bordiga (1889-1970), Antonio Gramsci (1891-1937), Palmiro Togliatti (1893-1964). «Tre uomini, tre facce, un unico comunismo», scrive padre Caruso. «Si può parlare di tre tattiche o di tre vie (mondiale, italiana, europea), che, in Italia, come in URSS, si sono incarnate nella vita di tre uomini per raggiungere sostanzialmente il medesimo scopo».
Linee di continuità
Il giudizio che trae padre Caruso è che, nonostante le variabili delle fasi storiche, il PCI nel proprio percorso politico ha assunto linee di continuità: «l’affermazione esclusiva di valori mondani e il rifiuto di quelli religiosi e trascendenti; l’internazionalismo proletario; l’egemonia assoluta del partito su tutto; l’aspirazione alla conquista del potere per realizzare la trasformazione radicale e palingenetica della nostra società in società socialista, dove l’uomo è immerso nel collettivo». Lo scrittore gesuita rileva che «“La fedeltà ai princìpi”, di cui [Enrico] Berlinguer [1922-1984] parlava il 19 settembre 1976, è stata sempre una costante nella storia del comunismo italiano».
L’egemonia culturale oggi
Ma con la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la conseguente dissoluzione del PCI, le mire egemoniche del comunismo sono forse venute meno? Niente affatto. E qui si torna alla considerazione di De Mattei sull’attualità di questo libro. Padre Caruso rileva che «l’obiettivo della conquista della società civile si raggiungerà col “consenso”, e quindi attraverso la conquista della cultura, nella scuola e con l’uso degli strumenti di comunicazione di massa, che sono gli organi di diffusione culturale».
Non stiamo forse assistendo ancora oggi, oltre trent’anni dopo l’eclissi del “sol dell’avvenire”, ad analoghi tentativi egemonici? La dittatura del proletariato si è trasformata in una più trasversale dittatura del politicamente corretto, le rivendicazioni sociali in diritti individuali, si sono aggiunte tinte arcobaleno alla bandiera rossa, ma il fondamento etico e dogmatico di una certa azione politica è rimasto intatto. E così, qualsiasi opinione discorde all’ideologia dominante è considerata un’eresia da emarginare. Ecco perché il libro di padre Caruso è da ritenere un utile compendio per conoscere la storia e interpretare il presente.