«Una grande cappa aleggia sopra di noi. È un opprimente clima, fatto di censura e intimidazione, che sovrasta ogni nostra parola e pensiero, con imposizioni e divieti più o meno velati su che cosa è bene dire e pensare». La terribile diagnosi sullo stato della nostra democrazia è opera di Luca Ricolfi e Paola Mastrocola, autori del Manifesto del libero pensiero. L’«opprimente clima» risponde al nome di «politicamente corretto»: galateo del conformismo, verbo dell’establishment, che come ogni postulato ideologico ha i propri sacerdoti e i propri zelanti guardiani, pronti a neutralizzare ogni eresia. Ricolfi, sociologo, professore universitario, saggista di successo e volto televisivo, ne discute con «iFamNews».
Prof. Ricolfi, in quale periodo storico possiamo collocare la genesi del «politicamente corretto»?
È controverso: negli Stati Uniti d’America forse già dalla fine degli anni 60, in Italia senz’altro negli anni 70.
All’epoca in cui il «politicamente corretto» si diffuse nel linguaggio in Italia, ci fu qualche voce controcorrente?
A mia conoscenza, l’unica voce autorevole che si espresse contro, denunciando l’ipocrisia dei cambianti linguistici spacciati per progressi reali, fu la scrittrice Natalia Ginzburg (1916-1991), che, fin dall’inizio degli anni 1980, prese posizione con alcuni bellissimi articoli, pubblicati su La Stampa e su L’Unità.
Nei giorni scorsi il liceo classico «Cavour» di Torino ha deciso di adottare, nelle comunicazioni ufficiali agli studenti, l’asterisco al posto delle desinenze di genere. Eppure il mese scorso si è espressa sul tema l’Accademia della Crusca, sottolineando che è meglio usare il tradizionale maschile plurale. Non ha più valore nemmeno il parere della massima autorità linguistica?
L’idea che scrivere «tutti» – anziché «tutt*» – sia discriminatorio o poco inclusivo è semplicemente stupida e dovrebbe cadere nel ridicolo da sola. Già il fatto che si debba interpellare l’Accademia della Crusca è folle. Se vivessimo in un mondo che ha il senso delle proporzioni, nessuno prenderebbe sul serio un’idea del genere. E che l’obiezione principale all’asterisco non sia che è assurdo, ma solo che non è usabile nel parlato (perché non pronunciabile), fa capire quanto avanzato sia lo stadio della malattia.
Scrive che «c’è stato un tempo in cui la censura era di destra e la libertà d’espressione era di sinistra». Oggi è forse il contrario?
No, c’è per fortuna una parte della Sinistra che difende ancora la libertà di espressione. Il problema è che, salvo alcune eccezioni (Piero Sansonetti, per esempio, direttore del quotidiano Il Riformista), le persone di sinistra non hanno il fegato di venire allo scoperto per paura delle critiche dei talebani appunto del «politicamente corretto». Pensi al caso Kathleen Stock, la docente costretta alle dimissioni dall’Università del Sussex, di Brighton, in Inghilterra, per le sue idee in materia di identità di genere. Le sembra possibile che quasi nessuno dei media progressisti abbia intrapreso una battaglia in sua difesa? Quanto alla Destra, il rischio è che la sua difesa della libertà di espressione si tramuti in indulgenza verso i discorsi d’odio.
La conseguenza inevitabile del «politicamente corretto» è la cosiddetta «cancel culture», che abbatte statue e che pretende di riscrivere daccapo la storia sulla base di parametri apparentemente “più contemporanei”, in realtà ideologici?
Sfortunatamente la «cancel culture» è solo una delle manifestazioni odierne del «politicamente corretto». Io ne ho contate ben altre cinque in un saggio che ho pubblicato su Repubblica. E la mutazione che mi preoccupa di più è il razzismo al contrario, che colpevolizza il mero fatto di essere bianchi, maschi ed eterosessuali, e che pretende di assegnare indebiti vantaggi in base al colore della pelle e al genere.
Nella fase storica attuale avverte anche l’affermazione di princìpi “pandemicamente corretti”, cioè la pretesa di imporre un unico punto di vista sul CoViD-19 e sulle misure politico-sanitarie?
Come no! Oggi, per non venire demonizzati o guardati con sospetto, si deve essere “vaccinisti” al 100%. Altrimenti si è considerati disertori. Veniamo trattati come bambini, cui non si può dire tutta la verità per paura di indebolire la fede comune nei vaccini.
Ma il destino degli intellettuali che si oppongono al pensiero dominante è l’emarginazione dall’arena pubblica?
Molto dipende dalla loro autorevolezza e dalla loro popolarità. Massimo Cacciari non sono ancora riusciti a emarginarlo del tutto. Però sì, oggi c’è pochissimo spazio per il dissenso, almeno sui media che contano. C’è, tuttavia, anche l’altra faccia della medaglia: sui media che non contano, o che contano poco, si dà troppo spesso voce a dissenzienti squalificati. Non tutto il dissenso è nobile.
Ritiene che la libertà d’espressione sia in pericolo?
Sì, e lo è in molte forme. Certo, ci sono i docenti sanzionati o costretti alle dimissioni, ma c’è soprattutto l’autocensura preventiva che travolge un po’ tutti in tantissimi ambiti. I giornalisti devono stare attenti a come raccontano i fatti, gli scrittori devono guardarsi dai sensitivity reader delle case editrici, gli aspiranti a un posto di lavoro devono nascondere quel che scrivono o che hanno postato su internet.
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