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Agghiacciante geografia della tratta umana

Milioni di nuovi schiavi. Fra cui milioni di prostitute. Fra cui milioni di bambini

Emmanuele Di Leo di Emmanuele Di Leo
09/02/2021
in Vita
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Reading Time: 7 mins read
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Last updated on Febbraio 10th, 2021 at 12:07 pm

Ieri la Chiesa Cattolica ha celebrato la «Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani» mentre ad Augusta, in provincia di Siracusa, veniva permesso l’attracco alla Ocean Viking che trasportava 422 migranti. Come non notare dunque il business colossale praticato dalla criminalità organizzata attraverso il commercio di persone? Ora, se salvare vite è doveroso e sacrosanto sempre, si è sicuri che i mezzi utilizzati per farlo siano davvero idonei a disincentivare questo traffico turpe sulla rotta Africa-Europa? Insomma, se la criminalità organizzata si sviluppa dove lo Stato è debole, e il suo funzionamento è sempre più simile a quello di una multinazionale, sorge spontanea una domanda: su quali mercati si fonda questo impero?

Una domanda a cui non è del resto così difficile rispondere. Basta guardarsi attorno. Il mercato più redditizio resta, dati alla mano, quello della droga, ma ce ne sono altri (consueti e non) che hanno permesso un’escalation evidenziata anche dalle Nazioni Unite. Una fotografia impietosa è quella scattata dalla Fondation Scelles, ricca di dati. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, il PIL del crimine mondiale raggiunge i 1200 miliardi di dollari annui pari al 15% dell’intero commercio del mondo. Nel 2002 i Paesi del G8 confermarono un «drammatico aumento della criminalità organizzata transnazionale in connessione con la globalizzazione economica».

Il possesso del prossimo

È la malavita a gestire la prostituzione ed è sempre la malavita che guadagna dalla tragedia dell’emigrazione di massa dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa e l’America, la quale ha pure riportato in auge forme di schiavitù che si pensavano finalmente relegate a tristi illustrazioni d’antan di corpi umani ammassati e trasportati come merci. A volte in questo business gli interessi leciti si sovrappongono a quelli illeciti e sembra che anche le organizzazioni impegnate nell’accoglienza dei nuovi disperati possano ricevere vantaggi dallo sfruttamento criminale; e se droga, prostituzione e immigrazione clandestina si confermano i pilastri del crimine, un altro mercato si affaccia prepotentemente: quello della «maternità surrogata». Un altro aspetto del traffico, un’altra forma di schiavitù, sempre la solita malavita.

Del resto dove c’è bisogno c’è domanda, e spesso sono proprio le organizzazioni a generare o, meglio, completare quella fornita da Stati e altre realtà legali.

Giuridicamente per schiavismo si intende la «condizione propria di chi è giuridicamente considerato come proprietà privata e quindi privo di ogni diritto umano e completamente soggetto alla volontà e all’arbitrio del legittimo proprietario». Sociologicamente intesa, la schiavitù «costituisce l’unico modo di sfruttamento che consenta accumulazione senza aumento dei livelli di resa produttiva e si fonda sullo sfruttamento di una classe di persone asservite, la cui riproduzione avviene attraverso la cattura o l’acquisto di esseri umani. Gli schiavi, dunque, sono esseri umani privati, più che del controllo della produzione, del controllo sulla riproduzione: se il numero degli schiavi si accresce solo attraverso guerre, razzie o acquisti, gli schiavi sono alienati del controllo della propria prole, non avranno, cioè, eredi legittimi».

Non è roba da vecchi libri. Basta scendere in strada e guardare lungo i cigli, soprattutto di notte, di alcune tangenziali. Basta guardare dalla Sicilia verso la Libia e vedere i barconi carichi di disperati che, prima di intraprendere il viaggio, restano ammassati in veri e propri lager, in gergo chiamati «punti di raccolta». Basta sì. E no. La schiavitù può infatti essere molto più velata.

Per sfuggire a essa occorre avere consapevolezza del proprio corpo, sentirsi un’unità antropologica: “noi siamo il corpo”. Invece talvolta il corpo di una persona può essere considerato un oggetto da sfruttare per appagare necessità di altri. Da “noi siamo il corpo”, quindi, a “noi possediamo il corpo”.

I nuovi schiavi

Il numero di nuovi schiavi aumenta e in schiavitù ci si finisce anche in maniera inconsapevole.  Secondo uno studio pubblicato da La Stampa del 2017 il 90% dei migranti che entrano in Europa sono gestiti da reti criminali. 250 sono i punti di raccolta utilizzati per il contrabbando di migranti dentro e fuori l’Unione Europea per un fatturato annuo che si aggira tra i 5 e i 6 miliardi di dollari criminali. 

Le rotte preferite sono quelle che transitano attraverso il Mediterraneo occidentale, in direzione della Spagna, e centrale, con obbiettivo Italia, ma non mancano le cosiddette rotte balcaniche e orientali. Un discorso a parte è quello che riguarda gli Stati Uniti d’America, dove i migranti illegali provenienti dal Messico (da cui proviene il 50% degli immigrati irregolari) sarebbero 11 milioni.

Le tratte usate dagli immigrati sembrano però essere utilizzate anche per altri traffici, in primis i traffici di donne da avviare alla prostituzione a fronte di un sistema di accoglienza che appare sempre più vulnerabile e che non riesce ad assistere chi fugge da guerre o da situazioni depresse. Le donne avviate sui marciapiedi si vendono anche per soli 30 euro. Spesso vivono di notte oppure solo ai bordi delle strade, controllate a vista da chi, ironia della sorte, si fa chiamare «protettore».

Bene inteso, sarebbero schiave anche qualora la prostituzione fosse regolarizzata e le «lucciole» emettessero fattura. Donne che battono le strade per scelta volontaria non ne esistono: se vi fossero alternative al bisogno economico, quelle donne farebbero subito tutt’altro.

Le ragazze africane che finiscono a prostituirsi in Italia provengono da famiglie di condizioni spesso poverissime e poco acculturate. Arrivano da noi, lo sanno tutti, con la scusa di un lavoro. Qualcuno materialmente le mette in strada, le controlla e ne gestisce il lavoro. Poi c’è la foltissima schiera di chi ne trae profitto: tassisti, portieri d’albergo e gestori di locali che si accordano con i protettori, locatori in nero di appartamenti dove le sventurate vivono o lavorano.

Dati raccapriccianti

Parlare di bambini in un contesto come quello della prostituzione può apparentemente sembrare esagerato, ma la realtà è che, secondo i dati forniti di alcune Ong, non tanto in Italia, bensì in molti Paesi orientali e africani, la pratica del sesso mercenario con bambini e bambine, dai cinque anni in su, è una realtà diffusa e, ancora una volta, un business ricco. 

Sempre secondo la Fondation Scelles, su 315,8 milioni di cittadini statunitensi ogni anno 100mila minori finiscono vittime di tratta. 4mila solo a New York e l’80% dei traffici avviene via Internet. Più grave ancora la situazione del Messico, dove la prostituzione è vietata, ma praticamente tollerata in alcune città come Città del Messico, Cancun, Acapulco e Merida. Si calcolano in 500mila le vittime annue, metà delle quali bambini e bambine spesso provenienti da Cuba, Colombia, Brasile, Honduras ed El Salvador.

Tragica la situazione della Nigeria, dove il 64% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Qui ogni anno si stimano in 600mila le vittime di tratte, 20mila delle quali destinate al mercato italiano. A Lagos ogni notte lavorano 13.680 prostitute, mentre in Europa le nigeriane sono l’11% delle prostitute attive.

Un Paese che dell’avvio alla prostituzione ha fatto un business è l’Ucraina. 100mila fra donne e bambine sarebbero le malcapitate messe sulla strada per un volume d’affari di un miliardo l’anno. 

In India sono più di 500mila le donne coinvolte, il 40% delle quali sono bambine. Secondo la Fondation Scelles, ogni prostituta può arrivare ad avere anche 40 rapporti sessuali al giorno. 

Infine il Belpaese. Su 61 milioni di abitanti sarebbero 90mila le prostitute in attività, 20mila delle quali appunto nigeriane. Il volume d’affari è stimato tra i due e addirittura i sei miliardi all’anno.

Insomma, Stati Uniti, Messico, Nigeria, Ucraina, India, Emirati Arabi, Cambogia, Kenya e Italia totalizzano 2.190.000 persone recluse nell’inferno della prostituzione su un totale di 45.839.600 esseri umani invischiati nella rete delle nuove schiavitù in tutto il mondo. Attualmente, quindi, la tratta di esseri umani sarebbe il terzo traffico criminale del mondo per redditività dopo quello delle armi e della droga.

L’Organizzazione internazionale del lavoro pubblica cifre ancora più spaventose: la tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale potrebbe generare da sola profitti annuali pari a 28 miliardi di dollari, vale a dire 23mila dollari per ogni persona prostituita. O persino anche 32 miliardi di dollari l’anno, di cui 7 solo per la tratta delle minorenni. L’impressione, davvero, è che non si faccia abbastanza per frenare questo commercio. Solo un’impressione?

Image source: Slaves Celebrating their Freedom, photo by Solasly from Wikimedia Commons, self-published work, licensed by CC-BY-SA-4.0

Tags: ProstituzioneTratta esseri umaniVetrina
Emmanuele Di Leo

Emmanuele Di Leo

Emmanuele Di Leo, nato a Roma nel 1979, è fondatore e presidente dell’ organizzazione umanitaria, Steadfast attiva nel settore della cooperazione in Nigeria, Togo, Messico, Europa e Italia.  Cooperante in Nigeria dal 2012, è impegnato nella difesa dei diritti umani e nel contrasto dello sfruttamento di esseri umani. Senior Advisor, ha curato per quattordici anni lo Sviluppo Istituzionale dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum in Roma. Dal 2012 è membro del Consiglio di amministrazione dell’International Bioresearch Institute, ente formativo e di ricerca biomedica universitaria in Nigeria. Nel 2014 ha realizzato un gruppo di studio per analizzare lo sfruttamento della donna in Nigeria che, in collaborazione con l’International Bioresearch Institute, ha svolto ricerche sullo sfruttamento sessuale dalla Nigeria verso i Paesi Occidentali.  Dal 2019 è membro del Consiglio di Amministrazione dell’Enugu Metropolitan Polytechnic (Nigeria). Membro fondatore dell’ associazione Family Day, è stato uno dei promotori dei Family Day italiani del 2015 e del 2016.

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