Last updated on Febbraio 28th, 2020 at 06:15 am
Il disagio giovanile rischia talvolta di assumere forme patologiche, soprattutto in una fase di cambiamento violento come quella adolescenziale. È di pochi giorni fa la notizia di un ragazzo torinese morto di anoressia nonostante fosse già stato in cura e la famiglia abbia fatto di tutto per evitare questa fine.
“iFamNews” ne ha parlato con il dottor Lucio Rinaldi, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Psichiatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ricercatore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica Campus di Roma.
Dottor Rinaldi, cosa sono i disturbi alimentari?
I disturbi alimentari sono una grande categoria di disturbi psichiatrici e alcune stime presuntive parlano, per l’Italia, di un coinvolgimento dai due ai quattro milioni di persone, anche se la raccolta di dati epidemiologici è molto difficile dal momento che si tratta di forme abbastanza diversificate.
L’anoressia è una patologia legata alla fase dell’adolescenza?
Sì, infatti sono stati individuati due picchi di incidenza: all’inizio e alla fine dell’adolescenza, dove con questo termine si intendono tutti i processi trasformativi che sono messi in atto dai cambiamenti corporei e che riguardano l’identità, le relazioni interpersonali e la sessualità. Non è un caso che, nel soggetto anoressico, vi sia una totale dominanza della mente sul corpo, che lascia infatti deperire. La difficoltà quindi non è solo corporea, ma riguarda le relazioni con il mondo esterno, gli amici e la famiglia.
Esistono segnali premonitori?
Ci sono alcuni indicatori precoci a livello infantile: i bambini molto sensibili alle variazioni, che a tavola sono molto lenti, selettivi, si alzano e vanno in bagno per scaricare una tensione. Al di là di questo, tuttavia, un elemento comune è il disagio emotivo, anche se questo ‒ lo comprendo ‒ è un termine molto generico. Questo disagio può rimanere sopito fino a esplodere di fronte ai cambiamenti imposti dall’adolescenza. Ma attenzione: esiste un’anoressia tipica della crescita adolescenziale che costituisce una forma di passaggio durante un processo trasformativo. Poi ci sono altre forme che hanno la funzione di proteggerci dal crollo mentale: ci si aggrappa all’anoressia perché dietro c’è una grandissima fragilità e dunque il rischio serio di andare incontro a patologie psichiatriche profonde. Infine esiste un’anoressia rigida che diventa cronica: in questo caso emergono tratti di personalità molto precoci legati al controllo, alla difficoltà affettiva a entrare in relazione con l’altro. Quest’ultima è una forma di anoressia più incardinata nella struttura della personalità del soggetto.
Esistono disturbi alimentari diversi?
Molti: esiste un continuum tra le forme di disturbo costituite dal difetto nel nutrirsi a quelle dell’eccesso. L’anoressia nervosa è quella comunemente conosciuta perché il deperimento fisico salta all’occhio, ma esiste anche la bulimia, che è più sfuggente perché ci si abbuffa e poi si vomita, e quindi i soggetti spesso rimangono in normopeso. A queste forme se ne aggiungono altre meno conosciute, come per esempio il binge eating, dove si mangia in maniera esagerata e frequentemente, ma a cui non fa seguito il vomito e dunque i soggetti aumentano considerevolmente di peso. Poi esiste una serie di monoforme: l’ortoressia, per cui c’è un’attenzione spasmodica a evitare alimenti non sani, secondo una valutazione strettamente personale, e l’iporessia, che è diffusa nei maschi e che si traduce in una forte attenzione alla forma fisica e all’apparato muscolare. Spesso gli iporessici fanno uso di steroidi e anabolizzanti. Infine c’è la drunkoressia, diffusa nei giovani, dove si beve molto al posto di mangiare, sostituendo le calorie del cibo con quelle dell’alcool.
C’è una responsabilità dei modelli culturali e sociali che influenzano i giovani?
Alcuni studi hanno cercato di verificare l’influenza esercitata da certi modelli culturali presenti nel mondo della moda, dello spettacolo e della televisione, dove la magrezza ha un ruolo importante. Questo in realtà è un aspetto molto delicato a cui bisogna fare attenzione: un adolescente cerca per natura modelli sociali in cui identitificarsi. Ma la nostra società è abbastanza povera sul piano culturale e i processi di trasformazione della famiglia a cui assistiamo hanno importanza. Esiste poi il mondo di Internet con tutti i siti pro-ana: i siti, cioè, favorevoli dell’anoressia e che spingono le ragazze su questa strada, pagine web che le autorità cercano di chiudere e di oscurare.
La madre del ragazzo torinese morto per anoressia afferma che lo studio per la maturità ha generato ansia enorme nel figlio. Esiste l’ansia sociale “da risultato”?
La difficoltà di, in generale, avere successo nella vita è un fattore che conta. I soggetti anoressici sono sempre molto brillanti da un punto di vista intellettivo e sono molto esigenti nella vita in generale. Si sottopongono a prove intense nello studio o nello sport, come poi fanno con il corpo, nel tentativo di venire riconosciute. Tuttavia più che ansia sociale da rendimento la loro è un’ansia identitaria: la difficoltà di riuscire a essere pienamente se stessi, nelle relazioni interpersonali e nella vita; a rendere non solo nella scuola, ma anche affettivamente.
In che modo l’anoressia è un tentativo di risposta a questa esigenza identitaria?
Nella fase preliminare del disturbo alimentare c’è un momento in cui i ragazzi stanno meglio, si sentono più forti. Questo è il nucleo fondamentale: trovare nel controllo del corpo e del cibo un momento di forza, qualcosa che dia forza. Nella fase che prelude all’anoressia i livelli di cortisolo, un ormone tipico dello stress, sono molto alti e, quando comincia l’anoressia, l’ormone diminuisce, come se il soggetto avesse trovato un livello di adattamento per smorzare la tensione. Solo che poi questa soluzione apparente diventa una trappola, perché non si può più fare a meno di mettere in atto questo comportamento alimentare disordinato e nasce una dipendenza dall’idea della magrezza, che diventa il fulcro dell’identità.
Cosa può fare la famiglia davanti al figlio che si consuma?
Qui bisogna stare attenti, perché la famiglia è coinvolta nell’espressione del disagio e della fragilità del figlio. Le dinamiche affettive della dimensione familiare sono fondamentali per gli adolescenti. L’adolescente esprime l’esigenza di nuove forme relazionali, porta a galla un problema e spesso vengono messi in discussione i ruoli familiari. Quando questo tipo di esigenze si presenta, bisogna rendersi disponibili a seguire il cambiamento che l’adolescente pone in essere, a sostenerlo, a coinvolgersi. Nel momento in cui il figlio vive il disagio anoressico, la famiglia deve essere supportata perché può dare un contributo fondamentale al percorso di guarigione del ragazzo.
Quindi oltre alle cure degli esperti è importante l’atteggiamento della famiglia?
Bisogna fare chiarezza. Un conto è la cura del sintomo, per cui si riesce a far ricuperare peso al ragazzo anoressico. Altra cosa è l’avere curato gli aspetti di fragilità profonda: bisogna aiutare il ragazzo a trovare livelli di consolidamento profondi, più armonici, più capaci di affrontare le sfide della vita quali il cambiamento della relazione familiare o di altri rapporti affettivi. È necessario un grande lavoro psicologico, che deve durare anni e che deve essere fatto da esperti. La famiglia è tuttavia fondamentale: è stato notato che se l’ambiente familiare è in grado di mettersi in gioco, di seguire i processi adolescenziali, i figli saranno più in grado di seguire questi processi. Spesso i genitori si impongono inconsapevolmente sui figli, sono rigidi e questo non aiuta il ragazzo, che riprodurrà questa rigidità sul proprio corpo.
Nella vicenda del ragazzo torinese la famiglia denuncia la mancanza di un sistema chiaro a cui rivolgersi e di non essere riuscita a sottoporre il figlio a un TSO (trattamento sanitario obbligatorio).
È vero, in Italia non c’è ancora una legge lineare sui TSO riguardanti l’anoressia. Per altre psicosi il procedimento è evidente, mentre l’anoressia resta ancora una terra di confine tra il biologico e il mentale. Noi, al Policlinico Gemelli, lo facciamo quando riteniamo che non ci siano alternative.
Il Gemelli ha attivato il Codice Lilla. Cosa prevede?
È un codice di attuazione delle linee guida del ministero della Salute, che istituisce percorsi clinico-assistenziali dedicati specificatamente ai disturbi alimentari. Se una ragazza arriva in pronto soccorso magrissima, con un deperimento fisico grave, questa paziente non segue la procedura degli altri, ma viene isnerita immediatamente in un percorso dove si attiva un’équipe specializzata composta da psicologi e da psichiatri. È un intervento sull’urgenza medica a livello ospedaliero e il Gemelli di Roma è uno dei primi ospedali italiani ad attuarlo.
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