Il CoVid-19 e la pandemia hanno generato una serie di danni incalcolabili alla popolazione mondiale. Fra questi, sarebbe giusto non ignorare una questione che invece si vede spesso spazzata sotto al tappeto come polvere fastidiosa da nascondere alla vista. Non è polvere, però, bensì un macigno.
Si tratta dell’aborto, e in modo particolare dell’aborto farmacologico, ottenuto tramite una «kill pill» micidiale che non lascia scampo al bambino nel grembo e che, spesso, oltre alla salute psicologica rovina anche la salute fisica della madre.
Aborto “a domicilio”
Il caso del Regno Unito è estremo e significativo e ha numeri da capogiro. All’inizio della pandemia, infatti, a partire dal marzo 2020, Inghilterra, Galles e Scozia hanno approvato cambiamenti sostanziali nelle leggi sull’aborto, consentendo per la prima volta alle donne di abortire “a domicilio”, senza controllo medico, anzi, senza neppure una vera prescrizione del medico, in totale autonomia.
Come anche in altri Paesi, dopo un semplice consulto al telefono o in video, entro dieci settimane di vita del bambino nel grembo materno (in Inghilterra e Galles, addirittura 12 in Scozia), le donne hanno potuto ricevere le pillole abortive via posta, per poi assumerle a casa, da sole, lasciate a se stesse in una situazione che si può certamente definire, eufemisticamente, molto complessa e dolorosa. Esistono addirittura raccapriccianti video tutorial che spiegano le procedure ed elargiscono consigli alle gestanti che desiderano cessare la gravidanza.
Una misura “d’emergenza”?
I cambiamenti, per altro, sono stati introdotti dal governo britannico sotto la spinta dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia, senza verifica parlamentare né consultazione pubblica. «Il governo, infatti», scriveva «iFamNews» nell’aprile di due anni fa , «in particolare per le pressioni esercitate dai capofila dell’industria dell’aborto quali Marie Stopes International (leader a livello mondiale) e British Pregnancy Advisory Service, ha annunciato che, per tutta la durata della crisi dovuta al CoViD-19, le donne che vogliono abortire potranno ottenere le pillole che provocano l’interruzione di gravidanza semplicemente consultandosi con un medico al telefono oppure online». In piena crisi pandemica, si è valutato che «[…] l’isolamento forzato a cui sono costrette le coppie limita anche l’accesso alla contraccezione e quindi aumenta il rischio e la possibilità di gravidanze “non pianificate” e “indesiderate”. Per alleviare quindi il “problema”, e minimizzare l’impatto sul Servizio sanitario nazionale (SSN), il governo ha deciso che, per un periodo di due anni, o quantomeno fino alla fine della crisi del coronavirus, le donne potranno abortire con più disinvoltura».
Durante un dibattimento parlamentare che risale al 10 febbraio il ministro della Salute, lord Syed Kamall, ha ribadito che tale modifica alla normativa «[…] è sempre stata intesa come una misura temporanea», insieme ad altre leggi di natura emergenziale introdotte quando il Regno Unito è stato chiuso nel lockdown che tutti conoscono. Eppure due anni dopo, mentre il parlamento britannico revoca a una a una le restrizioni ancora in vigore, la politica che permette l’aborto farmacologico “a domicilio” resta tuttora attiva in un Paese del tutto incurante della salute e della sicurezza delle donne. Quelle dei nascituri, naturalmente, sono totalmente ignorate.
Rischi aggiuntivi per le donne
È questo un aspetto di particolare rilevanza, come argomenta Carla Lockhart, deputata nel parlamento del collegio di Upper Bann, appartenente al Partito Unionista Democratico dell’Irlanda del Nord, sul sito web Politics.co.uk. «Poiché non vi è alcun obbligo legale per la certificazione medica dell’età gestazionale tramite ecografia o consulto in presenza e nessun controllo medico di persona durante l’aborto, non vi è alcuna garanzia su chi prenda le pillole, quando e dove vengano assunte o se sia presente una persona adulta, dato il rischio di complicanze».
Ed è ovvio che tali complicanze si verifichino e siano anzi in aumento, se nessun medico ha non si dice visitato, ma neppure visto in faccia la gestante. «Un documentario di Sky News ha rilevato che il 5% delle donne che hanno aborti “a domicilio” subiscono complicazioni che possano richiedere un trattamento o un intervento chirurgico di follow-up, pari a circa 96 donne ogni settimana o 14 donne al giorno».
Enormi sono poi i rischi anche per quanto riguarda la coercizione e l’abuso. In un regime selvaggio, al di fuori del sistema sanitario, «[…] non vi è alcuna garanzia che una donna che assume pillole abortive mediche lo faccia di sua spontanea volontà», continua Politics.co.uk, «né che sia pienamente informata delle proprie possibilità di scelta. Le donne e le ragazze vulnerabili sono particolarmente a rischio, per esempio quelle con un partner violento, oppure vittime di traffico sessuale o di abusi sessuali su minori. Come afferma un articolo del 2019 pubblicato su uno dei principali periodici di argomento medico, “I trafficanti di sesso, gli abusatori in contesti incestuosi e i partner coercitivi accoglieranno tutti con favore un aborto farmacologico più facilmente disponibile”».
Ora il governo britannico, continua la Lockhart, si trova nella condizione di dover assumere decisioni dirimenti rispetto alla politica relativa all’aborto farmacologico “a domicilio”. La speranza è che prenda la decisione giusta e vi ponga fine al più presto.