Last updated on Agosto 24th, 2021 at 02:38 pm
Tra le varie implicazioni del «ddl Zan», adesso in discussione al Senato, una riguarda la scuola: l’istituzione della «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» da celebrarsi negli istituti di ogni ordine e grado, comprese le classi delle elementari.
Il fine sarebbe quello di «promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione». Per questo andrebbero organizzate «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità di cui al comma 1» e «le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Vale per tutte le scuole, persino per quelle liberamente costituite da gruppi di cittadini, e dai medesimi sovvenzionate tramite il pagamento di rette scolastiche.
Ma non c’è bisogno di addentrarsi ulteriormente nei meccanismi previsti dal disegno di legge, tanto meno nelle variegate dispute politiche che si sviluppano intorno a esso. Indipendentemente, infatti, dall’approvazione o meno dalla proposta, esistono maestre zelanti, anzi zelantissime, che si sono già portate avanti nel lavoro: per esempio la «maestra a distanza», che ha già elaborato una scheda didattica per introdurre le tematiche di genere fra i propri alunni, che sono bimbi della scuola elementare.
Per il 17 maggio, data in cui il «ddl Zan» vorrebbe calendarizzare la «Giornata internazionale contro l’omofobia», la maestrina – ella stessa fa riferimento alla propria «breve carriera» – ha elaborato una scheda, rigorosamente colorata e traboccante arcobaleni, in cui afferma che le bandiere multicolor sventolano «a favore di un mondo in cui l’amore sia arcobaleno, cioè riconosca i diritti di quelle persone che amano persone dello stesso sesso». Perché è necessario parlarne? Perché «gli omofobi nei secoli hanno sostenuto che ciò non sia naturale e quindi da condannare. Ma l’amore è sempre naturale, in qualsiasi forma si presenti. Basta che si tratti di amore…». Ed insiste: «L’amore non può essere reato!» e «chi combatte l’amore nel nome di pregiudizi e stereotipi, alimenta l’odio».
Dopo questa serie di affermazioni assertive, la maestrina si ricorda però di essere in una classe – non a un comizio politico – e chiosa con una domanda tanto leziosa quanto inutile: «pensi che possa avere ragione?». Tant’è che, tra gli entusiasti commentatori del suo post su Facebook, c’è anche chi sottolinea che quell’ultima frase, conclusa da un punto interrogativo, sarebbe da evitare, giacché certe idee vanno «espresse con fermezza» per non «riversare sui bambini le paturnie e i conflitti degli adulti».
Per fortuna c’è chi non ci sta. Sulla pagina di Scuolalibera, Nicoletta Di Giovanni, responsabile del dipartimento Scuola libera di Rete Liberale, si permette di commentare le paginette piene di «esaltante autovalutazione» della giovane maestra a distanza, sottolineando come «la scheda proposta a quei bambini è un trasferimento del suo pensiero, gli alunni non sono figli suoi, ma hanno famiglie cui la Costituzione garantisce libertà educativa e che quello che descrive come auspicabile è un ddl proposto da una parte politica, che ha contenuti altamente divisivi». Tra l’altro, non essendo stato la proposta Zan ancora approvata, «forse l’argomento così confezionato potrebbe far pensare ad un “abuso didattico”».
È significativo che tale scheda didattica possa già essere introdotta nelle scuole italiane, sfruttando la stessa Agenda 2030 (altro nome per “educazione civica”), che all’obiettivo 10 fa riferimento alla “riduzione delle diseguaglianze”, un cappello sotto il quale chissà quante zelanti insegnanti stanno già indottrinando i nostri figli, senza alcun rispetto per l’accordo educativo delle famiglie, senza domandare consenso informato. Significativo che la nostra maestrina affermi, quasi stupita, di non aver ricevuto reazioni o commenti negativi da parte dei colleghi, per questa sua proposta “arcobalenosa”.
La domanda sorge spontanea: la giovin insegnante, piena di entusiasmo nella sua opera di formazione di giovani menti, che «assistono con naturalezza» a «situazioni che sono ovvie e rese invece tortuose solo dagli adulti e dai loro pregiudizi», si è resa conto dell’enormità del concetto trasmesso dalla sua coloratissima scheda didattica? «L’amore non può essere reato».
Sulle derive raccapriccianti di tale “ingenua” affermazione si è molto ben esposta Maria Rita Castellani, garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Umbria, sottolineando che se il sesso biologico non avrà più importanza, allora chiunque potrà scegliere «orientamento sessuale verso cose, animali, e/o persone di ogni genere e, perché no, anche di ogni età, fino al punto che la poligamia come l’incesto non saranno più un tabù, ma libertà legittime».
Alla “maestra a distanza” servono lezioni di logica. E ai genitori? Tocca vegliare, con grande attenzione, perché la scuola pubblica italiana, purtroppo, non è già più un luogo sicuro per i nostri figli.
Commenti su questo articolo