Last updated on Ottobre 12th, 2021 at 03:27 am
Potrebbe essere presto per esprimere un giudizio compiuto sul tentativo del regista statunitense David S. Goyer di trasformare in serie televisiva la saga fantascientifica più importante della storia della letteratura, la Trilogia della Fondazione (1951-1953), diventato in seguito il Ciclo delle Fondazioni, con l’aggiunta, tra gli anni 1980 e 1990, di due sequel e altrettanti prequel, scritti dal divulgatore scientifico russo, naturalizzato statunitense, Isaac Asimov (1920-1992) e già ben noto ai lettori di «iFamNews» per un suo intrigante “sottotesto” pro life.
Effettivamente presto potrebbe esserlo sul serio, se qualche dubbio indicasse la necessità di sospendere il giudizio e attendere qualche settimana per aggiungere elementi ulteriori, dopo la visione dei primi quattro episodi già disponibili su Apple TV+.
Donne che sono donne e maternità dei robot
Pare però che per i dubbi non ci sia molto spazio e, senza timore di smentita, si può già affermare che questa produzione si sia avviata su una strada ottima nella sequela, niente affatto pedissequa, della lettera del testo da cui trae spunto, eppure incredibilmente fedele allo spirito del grande narratore. Già a partire dai “cambi di genere” di alcuni personaggi cruciali: Gaal Dornik, il genio arruolato dal matematico Hari Seldon (Jared Harris) per progredire sulla strada della psicostoria – scienza capace di prevedere i movimenti di grandissime masse di esseri umani, così come la fisica è in grado di prevedere il comportamento caotico dell’insieme delle particelle che compongono un gas – nella serie è interpretato da una ragazza (Lou Llobell), senza che alcun cambiamento significativo incida nel percorso della narrazione.
Più intrigante il personaggio di Salvor Hardin (Leah Harvey), anch’esso maschio nei testi di Asimov, apparentemente femmina nella serie, ma incautamente definita «non-binaria» nelle recensioni delle prime due puntate, fuorviate forse proprio dalla mancanza di caratteristiche femminili stereotipate. Nel terzo episodio, però, viene invece chiamata esplicitamente «donna» e dimostra incontrovertibilmente la propria femminilità nel rapporto decisamente eterosessuale con Hugo (Daniel MacPherson). Sembra di vedere il sorriso divertito del professor Asimov, che sicuramente avrebbe giocato su queste ambiguità, di fronte alla delusione di certi benpensanti, esponenti di quel pensiero unico che egli mai avrebbe assecondato, se pure discendente proprio da quell’umanesimo razionalista da lui professato.
D’altra parte la sua fantasia sconfinata era anche arrivata a immaginare nuove modalità di relazione tra i sessi: gli Spaziali del Ciclo dei Robot, per esempio, arrivavano a imporsi rapporti sessuali finalizzati alla generazione di eredi, in mondi in cui il “distanziamento sociale” era una pratica di vita non meramente sanitaria, ma finalizzata a evitare contatti di qualsiasi tipo tra gli individui, serviti e riveriti da schiere di fedelissimi robot. Ma proprio la socialità innata e il desiderio impellente di rapporti umani significativi hanno sempre costituito i propulsori, nell’universo asimoviano, del superamento dell’inedia generata da condizioni di vita caratterizzate da un benessere eccessivo. L’amore tra uomo e donna – anzi, tra maschio e femmina, anche quando non entrambe umani – è e resta elemento fondante, alla radice del significato della vita.
Ne è dimostrazione uno dei climax già toccati dalla serie, riguardante proprio una manifestazione di amore di un non-umano, il robot Demerzel (Laura Birn), anche qui maschio (Eto) nei testi originali, diventato donna nella serie. Dopo il leggero disorientamento iniziale (più o meno simile a quello provato di fronte ai capelli biondi di Jo in Piccole Donne), il canto del robot, ninna nanna per il feto del clone dell’imperatore Cleon I galleggiante in una colonna di liquido amniotico, e insieme nenia funebre per Fratello Oscurità, commuove ed emoziona fino ai brividi, confermando il ruolo di custode angelico del robot nei confronti del genere umano. Impossibile comunicare meglio di così le intuizioni visionarie del genio della fantascienza, che ricupererà proprio la figura di Demerzel, fedelissimo guardiano dell’umanità, fino all’ultima sfida: uno sguardo quasi materno, ottimamente trasmesso allo spettatore senza bisogno di alcun discorso.
Anche la trovata della clonazione degli imperatori è originale, ma sarebbe assolutamente approvata da un Asimov, che, proprio nelle ultime battute dei volumi della Fondazione, ipotizza una “autogenerazione” simile come evoluzione dell’umanità per superare le nuove sfide dei tempi. Ipotesi rigettata, comunque, anche se l’alternativa perseguita – la fusione di ogni individualità entro un super-organismo vivente e interdipendente – viene accettata in via non “definitiva”, segno della ricerca inquieta, mai portata a compimento, nell’animo dell’autore. Immortalità e unicità dell’individuo non possono essere alternative: questa evidenza si impone, se pure la mente freddamente materialista non si permette di accettare il balzo verso un’eternità di compimento totale.
Only we can shorten the darkness: semi per la rinascita
Nel primo trailer ufficiale della serie la “frase chiave”, la prima frase pronunciata dal giovane matematico Gaal Dornik è «only we can shorten the darkness», «possiamo solo abbreviare l’oscurità». Il crollo dell’Impero Galattico è imminente, secondo le previsioni dello psicostorico Hari Seldon. L’imperatore Cleon rifiuta di prestare fede agli avvertimenti di corvo Seldon, anche se la sua illusoria immortalità genetica, garantita da una discendenza di cloni, appare inquietante persino a lui. Almeno così emerge nella persona di Fratello Tramonto, mentre si prepara all’“ascensione”: «c’è qualcosa di innaturale in tutto ciò», afferma, confidandosi con il robot Demerzel, «è strano assistere alla propria nascita». L’essere «perfette copie genetiche del primo Cleon» pone anzi dei dubbi sull’umanità stessa di individui che, secondo la scrittura pre-imperiale l’Octavo Primario, conosciuta nella Galassia tramite la religione del “luminismo”, potrebbero essere inferiori, in quanto «sprovvisti di anima». Un problema politico, per Fratello Giorno, ma profondamente esistenziale per il giovane Fratello Alba.
Le tenebre incombono, e anche i pochi esseri umani consapevoli appaiono disarmati di fronte alla catastrofe che sta per colpire l’intero Impero Galattico: esiliati su Terminus, uno dei pianeti più distanti dal centro dell’impero, gli Enciclopedisti della Prima Fondazione non paiono ancora consapevoli del proprio effettivo ruolo, nella storia dell’umanità.
Ma cos’è, dunque, una “fondazione”? Le Fondazioni non sono altro che «entità distinte, isolate, indipendenti dall’Impero stesso, che sarebbero servite come semi per la rinascita, attraverso le imminenti ere oscure», come spiega lo stesso Asimov nel prequel intitolato Fondazione anno zero (pubblicato postumo nel 1993).
Semi per la rinascita: non già Seldon, ma Asimov assume qui le vesti del profeta, incitando, in un mondo decadente, a «salvare la nostra eredità». La vera vocazione di ogni famiglia.
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