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«Opporsi alle unioni civili può diventare reato»

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«Opporsi alle unioni civili può diventare reato»

Le preoccupazioni sul «ddl Zan» di Matteo Forte, consigliere comunale di Milano

Federico Cenci di Federico Cenci
28/05/2021
in In evidenza, Politica
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Last updated on Luglio 21st, 2021 at 09:43 am

Il tema dei funzionari pubblici che oppongono un’obiezione di coscienza alle unioni civili non è nuovo. Se n’è iniziato a discutere fin dall’approvazione della legge Cirinnà, nel maggio 2016. In futuro la questione potrebbe tornare di stretta attualità. È il parere di Matteo Forte, dal giugno 2011 consigliere comunale di Milano della lista “Milano Popolare”, tra i pochi a opporsi all’istituzione del registro delle unioni civili nella città meneghina, nel 2012, prima ancora della legge nazionale. Intervistato da «iFamNews», spiega le proprie considerazioni.

Perché crede che un consigliere comunale che, come lei, si oppone alla trascrizione delle unioni civili potrebbe essere perseguito con il «ddl Zan»?
C’è un combinato disposto preoccupante tra l’articolo 4 del «ddl Zan» e la legge Cirinnà sulle unioni civili, che non contempla l’obiezione di coscienza.

Ma l’articolo 4 del «ddl Zan» tutela «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte»…
Sì, ma precisa che le opinioni sono salve «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

E rifiutarsi di trascrivere un’unione civile determina questo concreto pericolo?
A tal proposito è utile leggere quanto scritto dal giudice del Tribunale di Milano Fabrizio Filice su Questione Giustizia, periodico promosso da Magistratura Democratica, associazione di sinistra fra quelle in cui si articola l’Associazione nazionale magistrati.

Cosa ha scritto?
Filice chiarisce che «il potenziale rilievo penale dell’atto diverrà attuale non (solo) in ragione del compimento dell’atto discriminatorio in sé, condizione necessaria ma non sufficiente, ma (anche) quando tale compimento riveli in modo chiaro e percepibile, perché in qualche modo esteriorizzato, la significazione discriminatoria che lo determina».

Dunque rifiutarsi di fare una trascrizione potrebbe diventare «omofobia»?
Il punto è che, mettendo l’accento dello strumento penale non sulla violenza materiale, bensì sul significato percepito di un’azione, scompare del tutto la differenza che si voleva salvaguardare tra libertà di espressione e reato d’odio. Spero ovviamente di sbagliare, ma temo che rifiutarsi di prestare un servizio come la trascrizione di un’unione civile potrebbe essere tacciabile di omofobia.

E se al suo posto ci fosse un altro funzionario pubblico disposto a trascrivere l’unione civile?
Questa ipotesi garantirebbe la trascrizione dell’unione civile, ma non tutelerebbe me da un’eventuale denuncia. Per evitarla sarei obbligato a compiere un gesto che andrebbe contro la coscienza personale; principio, questo, che è invece stato salvaguardato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America nella vicenda di Jack Phillips, pasticciere che ha dovuto affrontare una trafila giudiziaria per essersi rifiutato di preparare una torta di “nozze” per una coppia omosessuale.

Oltre all’obiezione di coscienza è a rischio anche la libertà d’espressione?
Le racconto un episodio: un cameriere di un bar vicino a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, mi ha simpaticamente chiesto di poter registrare la sua unione civile. Io, in un clima conviviale, gli ho spiegato le mie ragioni di dissenso, ma l’ho fatto all’interno di un locale, dove c’era anche altra gente. Un domani il mio atto potrebbe essere considerato una condotta «esteriorizzata», caratterizzata da aspetto discriminatorio e perciò perseguibile.

Peraltro Milano è stata una città pioniera: il registro delle unioni civili fu istituito dalla giunta del sindaco Giuliano Pisapia nel 2012, quattro anni prima della Legge Cirinnà…
Un registro dal mero valore simbolico, non essendoci ancora una legge. Del resto qui di operazioni di marketing a tema LGBT+ ce ne sono state diverse durante le due ultime Giunte comunali. Operazioni assolutamente effimere. Cito un esempio: sono state istituite due «Case arcobaleno» per dare rifugio a persone omosessuali discriminate o cacciate di casa. Ebbene, in questi appartamenti sono passate in tutto nove persone, che, alla fine, si è scoperto avessero soltanto bisogno di un alloggio. Un conto è aiutare davvero le vittime di violenza, altro conto è creare una corsia preferenziale riguardo all’emergenza abitativa nei confronti di persone che si dichiarino omosessuali.

Un altro aspetto del «ddl Zan» che ha scatenato polemiche è quello dell’ideologia gender nelle scuole. Anche questo è tema non nuovo a Milano, vero?
Sì, ci sono stati diversi casi. Sotto il cappello dell’educazione alla diversità sono entrati in alcune scuole esponenti del mondo LGBT+. Se parliamo di scuole superiori, personalmente non sono contrario, ma a patto che ci sia un contraddittorio, un pluralismo: non può esserci un discorso a senso unico sulla diversità.

Tags: ddl ZanVetrina
Federico Cenci

Federico Cenci

Dal 2013 al 2017 ha lavorato all’agenzia cattolica di stampa Zenit occupandosi di temi sociali e religiosi, bioetica, politiche familiari, nonché politica interna ed internazionale. Ha quindi proseguito l'attività con In Terris, e attualmente con vari giornali e periodici. Nel 2020 ha scritto il romanzo "Berlino Est 2.0 - Appunti tra distopia e realtà"

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