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Jack e gli altri: le vittime dei «Ddl Zan»

Il caso famoso del pasticciere americano e di altri lavoratori tacciati d'omofobia e perseguitati per obiezione di coscienza

Federico Cenci di Federico Cenci
16/08/2020
in Politica
246
Reading Time: 4 mins read
0
Jack Phillips - Image from Alliance Defending Freedom

Jack Phillips - Image from Alliance Defending Freedom

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Last updated on Agosto 21st, 2020 at 08:55 am

Nella relazione alla Camera dei Deputati, l’on. Alessandro Zan ha sottolineato che il suo disegno di legge contro l’«omo/transfobia», all’art. 3, «ribadisce che restano salve la libera manifestazione di opinioni e convincimenti nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte». Ma certe rassicurazioni non bastano a fugare i dubbi sulla deriva liberticida che il ddl che porta il suo nome rischia di inaugurare. Altrove, dove interventi legislativi analoghi sono avvenuti già da qualche anno, le esperienze dimostrano che non v’è affatto da star sereni.

Il pasticciere perseguitato

Nonostante lui sia un esperto di dolci, è amara la trafila giudiziaria che ha dovuto subire Jack Phillips, un pasticciere del Colorado “reo” di essersi rifiutato di preparare una torta di “nozze” per una coppia omosessuale. Nessun insulto, nessun incitamento all’odio, soltanto l’obiezione di coscienza di un artigiano dinnanzi alla commissione di un lavoro che va contro le sue credenze religiose di cristiano protestante. È bastato questo per fare di Phillips un eterno imputato. Correva l’anno 2012 quando il proprietario di Masterpiece Cakeshop (così si chiama il suo negozio a Lakewood) venne per la prima volta portato in tribunale e condannato dalla Colorado Civil Rights Commission. Il reato? Aver violato una legge federale contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, ovvero una sorta di «Ddl Zan» versione del Colorado.

Il pasticciere e il suo avvocato, Nicolle Martin, non si diedero però per vinti. «Non può violare la sua coscienza in nome dei soldi», disse la legale. La quale definì «riprovevole» e «antitetico a tutto ciò che gli Stati Uniti d’America rappresentano» che Phillips dovesse scegliere se continuare il proprio lavoro violando le sue credenze religiose oppure smettere, negando il sostentamento alla famiglia. La vicenda finì allora sotto lo sguardo della Corte Suprema, che nel 2018 ha finalmente dato ragione al pasticciere e torto ai giudici del Colorado: l’obiezione di coscienza è un diritto sancito dal Primo emendamento alla Costituzione federale degli Stati Uniti, il quale garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio.

La storia infinita

Tutto è bene quel che finisce bene? Sì, ma solo quando finisce. Per il pasticciere l’epilogo non era ancora giunto. Il 26 giugno 2017, infatti, proprio nel giorno in cui la Corte Suprema aveva annunciato che ne avrebbe analizzato il ricorso, un transessuale contattò la Masterpiece Cakeshop per commissionare una torta celebrativa della propria transessualità. Tempismo perfetto, verrebbe da dire. Anche stavolta, Phillips aveva risposto negativamente alla richiesta.

E anche stavolta ‒ nemmeno a dirlo ‒ la vicenda era finita in tribunale. Il pasticciere, esausto, aveva però deciso di non limitarsi a difendersi, ma di passare al contrattacco: aveva intentato cioè una causa contro lo Stato del Colorado per l’ostilità mostrata al suo credo religioso. Il 4 gennaio 2019 i giudici hanno dato ragione a Phillips dimostrando che anche altre pasticcerie rifiutavano di preparare torte «che esprimono messaggi che ritengono discutibili» senza che per questo venissero denunciate.

Un calvario

Le sentenze favorevoli non devono comunque trarre in inganno. Quello di Phillips è stato ed è tuttora un calvario; anzitutto per la durata dei processi con annesse implicazioni economiche e psicologiche, poi perché i procedimenti giudiziari a suo carico non sono ancora tutti finiti, infine per gli agguati che ha dovuto subire. Come riferisce la Alliance Defending Freedom, l’organizzazione per la difesa della libertà religiosa che si è occupata del suo caso, da quando il pasticcere è diventato famoso ha ricevuto richieste di «torte raffiguranti l’uso di droghe, materiali sessualmente espliciti, persino torte che celebravano Satana o raffiguravano simboli satanici». «Almeno una di queste richieste [il riferimento è a quelle con Satana] proveniva dalla stessa persona che aveva richiesto la torta celebrativa della propria transessualità». Phillips si è sempre gentilmente rifiutato, fino a dover rinunciare alla preparazione di torte personalizzate (che costituivano il 40% del proprio guadagno) per evitare altre molestie.

Gli altri perseguitati

Oltreoceano c’è un vero e proprio esercito di lavoratori che, come il pasticciere Phillips, hanno dovuto combattere battaglie legali per vedersi riconosciuto il proprio diritto di rifiutarsi di celebrare gli LGBT+. È il caso di una coppia di fotografi che nel 2006, nel New Mexico, rinunciò a fornire un servizio fotografico a un “matrimonio” omosessuale. Simile la vicenda di un operatore video canadese che, in luglio, ha rifiutato di offrire le proprie prestazioni a una “cerimonia nuziale” tra due donne. Si tratta di esempi, paradigmatici del clima persecutorio che vige laddove sono state approvate leggi che ottundono il confine tra reale discriminazione e libera manifestazione del pensiero. Qualcuno vuole forse che in Italia si levi lo stesso fumo persecutorio?

Tags: Jack PhillipsOmofobia
Federico Cenci

Federico Cenci

Dal 2013 al 2017 ha lavorato all’agenzia cattolica di stampa Zenit occupandosi di temi sociali e religiosi, bioetica, politiche familiari, nonché politica interna ed internazionale. Ha quindi proseguito l'attività con In Terris, e attualmente con vari giornali e periodici. Nel 2020 ha scritto il romanzo "Berlino Est 2.0 - Appunti tra distopia e realtà"

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