Stereotipo. La sessualità naturale, evidente, innegabile e unica, cioè i maschietti distinti dalle femminucce, sono un semplice stereotipo, una convenzione che come tale può essere modificata ad arbitrio, insomma una baggianata. Questa idea sballata e fin troppo abbondantemente diffusa è alla base di scempiaggini plurime, di abusi assortiti, di discriminazioni liberticide e di violenze su quei minori cui si pratica la transizione di sesso. Il fatto però che questa idea campeggi sulle pagine di Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale cattolica italiana, fa male e fa scandalo.
Oggi, domenica 27 febbraio, a p. VII dell’inserto Noi in famiglia, Paola Molteni e Luciano Moia definiscono la sessualità incontrovertibile e la natura umana, cioè i maschietti distinti dalle femminucce, uno stereotipo. Per il quotidiano cattolico italiano, cioè, letto nelle case dei cattolici e disponibile sul tavolo della buona stampa nelle parrocchie, la sessualità della natura umana voluta e creata da Dio è uno stereotipo. Dio si muove cioè per stereotipi. Forse persino Dio stesso è uno stereotipo, potrebbe concludere qualcuno.
La Molteni scrive dello «stereotipo classico che ancora collega le bambole all’infanzia delle bambine», reclamizzando l’ennesimo studio di un ennesimo consesso di soloni, in questo caso «un ampio progetto di ricerca pluriennale condotta da un team di neuroscienziati dell’Università di Cardiff e commissionata dall’azienda americana Mattel» senza che nessuno eccepisca per il conflitto evidente di interessi, e poi seguono parole, parole, parole.
Sotto Moia aggiunge parole, parole, parole intervistando ampiamente Arianna Cavallo, giornalista del quotidiano online Il Post, autrice di un libro a tema, e appunto convinta che maschietti e femminucce siano uno stereotipo. Moia introduce l’intervista osservando: «Non tutto forse può essere condiviso, come non tutto quello che dice Cavallo nell’intervista dev’essere assunto in modo acritico. In particolare il tema dell’omogenitorialità è senz’altro più complesso e controverso delle conclusioni, pur positive di una ricerca. Anche perché di ricerche ne esistono decine, con risultati tutt’altro che univoci. Al di là di questo, si tratta di un’esperta che ha approfondito questi temi e merita di essere ascoltata». Sono contento, perché questa excusatio petita sembra rispondere ai rilievi scandalizzati, che anche «iFamNews» ha prodotto, all’intervista acritica e senza contradditorio in cui Giovanni Maria Flick sdoganava l’eutanasia su Avvenire mentre padre Carlo Casalone faceva altrettanto su La Civiltà Cattolica, avendo entrambi torto marcio.
Solo che non basta. Perché sul quotidiano dei vescovi cattolici italiani uno non vorrebbe mai leggere parole melliflue come «più complesso e controverso» dette all’indirizzo del «tema dell’omogenitorialità» che è un assurdo, un abuso e un male, fattispecie di quel neocolonialismo dell’ideologia gender, «[…] sbaglio della mente umana», come dice Papa Francesco.
Anche perché l’excusatio serve a un fico secco, se poi il titolo del paginone dell’inserto Noi in famiglia, sic, nel quotidiano dei vescovi cattolici spara assurdamente e ad altezza uomo la citazione dell’intervistata «Gli studi di genere contro la famiglia? No, sono un aiuto per fare chiarezza»
È vero infatti il contrario. Gli studi di genere e le affermazioni di genere, il dire che il genere è una cosa e il sesso un’altra, l’affermare che esistano più generi e più sessi, l’insinuare che maschio e femmina sono solo stereotipi e convenzioni è assolutamente contro la persona e contro la famiglia, contro la libertà e contro la dignità: contro, dannatamente contro. Dire cose così è male, e il male va arginato, contrastato, combattuto e anzitutto riconosciuto per ciò che è. Anche dal quotidiano dei vescovi cattolici italiani.
Perché sennò, di questo passo, su Avvenire una domenica senza averne l’aria si potrebbe finire per leggere “Maschio e femmina li creò, ma si era sbagliato”.