È la perfezione transumanistica il traguardo dell’umanità?

«Umanoide, non umano. Simile, ma “prodotto”, non persona» 4/5

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Last updated on Agosto 27th, 2021 at 06:23 am

Nel racconto L’uomo bicentenario (The Bicentennial Man), pubblicato nella raccolta Antologia del bicentenario (The Bicentennial Man and Other Stories) del 1976, lo scienziato e scrittore russo naturalizzato statunitense Isaac Asimov (1920-1992) racconta la storia – sviluppata in seguito nel romanzo Robot NDR-113, firmato assieme allo scrittore e sceneggiatore statunitense Robert Silverberg  e pubblicato postumo nell'ottobre 1992 – di un robot positronico (cioè vincolato dalle Tre leggi della robotica) che insegna quale sia il valore autentico della vita umana. Questa estate, assieme ai propri lettori, «iFamNews» vuole ripercorrere alcuni tratti salienti della vicenda dell’automa denominato NDR-113, alias Andrew: non son poche le cose semplici e vere con cui questo personaggio, inventato da uno scrittore ateo, umanista e razionalista, riesce ancora a sorprendere tutti.

Il libro dell’automa Andrew sulla “storia della robotica” suscitò molto interesse, in particolare fra gli specialisti. «Tu sei in grado di dire al mondo quello che deve sapere sul rapporto fra esseri umani e robot, perché in qualche modo tu partecipi della natura di entrambi».

Andrew non riusciva a togliersi dalla testa queste parole. Contemporaneamente, «aveva scoperto che, senza alcuna difficoltà, poteva formulare mentalmente la propria disapprovazione» nei confronti degli esseri umani, «ed era addirittura in grado di dare a essa forma scritta. Era certo che, per lui, non era mai stato così». La sua evoluzione “mentale” portò inevitabilmente al desiderio di realizzare «il gradino successivo», come egli stesso affermava. Per raggiungere lo scopo arrivò a chiedere aiuto a un essere umano, il figlio della Signorina Piccola, domandandogli addirittura di mentire per lui. «Andrew, Andrew […] tu non puoi dire bugie, ma puoi convincere me a dirne una, non è così? Più passa il tempo, più diventi umano».

La considerazione divertita di Paul, figlio della Signorina Piccola, non poteva essere più vera. Andrew fece trasferire il proprio cervello positronico «che costituisce l’essenza stessa di Andrew Martin, che è il proprietario del robot nel quale il cervello positronico di Andrew Martin è collocato», in un nuovo corpo androide, un «meccanismo “organico” progettato in modo splendido, con le sue leggi immutabili di ritmi metabolici, di equilibrio e di decadimento, di rottura e di riparazione». Il tempo intanto passava. Il momento in cui anche Paul, ultimo discendente della famiglia Martin, sarebbe morto si avvicinava. Per Andrew la morte era ancora un mistero, ipotizzava che anche per gli esseri umani ci potesse essere la possibilità di molteplici “sostituzioni” che ingannassero la morte. «No, non è possibile», disse Paul, «Neppure in linea teorica». Infatti

non siamo dotati di cervelli positronici; i nostri cervelli non sono trasferibili, quindi non possiamo semplicemente chiedere a qualcuno di espiantarci da un corpo prossimo al tracollo, per ricollocarci in un altro nuovo, bello e lucente. Tu non puoi comprendere il fatto che gli esseri umani devono inevitabilmente raggiungere un punto in cui è impossibile procedere a qualsiasi riparazione. Ma è giusto che sia così.

Morto anche Paul, Andrew si trovò al riflettere sul rapporto che aveva con la famiglia Martin:

tutti loro hanno lasciato che facessi quello che sentivo […] anche quando in realtà lo disapprovavano. Hanno acconsentito che i miei desideri si realizzassero. Per amore. Sì, “amore”. Per un robot.

Si rese conto che quanto lo legava alla famiglia Martin e alla sua discendenza «non era soltanto una manifestazione della Prima e della Seconda Legge, ma qualcosa che si sarebbe potuto tranquillamente chiamare “amore”. Il suo amore per loro. Un tempo, non avrebbe mai ammesso una cosa del genere, neanche a se stesso; ora, invece, era diverso».

Rimasto solo al mondo, in seguito alla morte dell’ultimo discendente del Signor Martin, da una parte, ma soprattutto «perché era l’unico cervello positronico in un corpo androide», Andrew cominciò ad accorgersi di essere

umanoide, non umano. Simile ad un essere umano, ma non un essere umano. Era un “prodotto”, non una persona. Ma non gradiva che gli venisse detto.

Riprese a studiare robotica con «l’intento di interfacciare l’organico e l’inorganico, di creare un legame che permetterà alle parti artificiali del corpo di essere connesse al tessuto organico». Si sottopose a un’altra serie di operazioni, per rendere il proprio corpo sempre più simile a quello di un essere umano. Nonostante gli umani stessi gli facessero notare che

tu sei meglio di un uomo, Andrew. Sei superiore ad un essere umano sotto ogni aspetto che mi riesce di prendere in considerazione. Il tuo corpo è inattaccabile dalle malattie, provvede autonomamente alla propria sussistenza e alle riparazioni; è praticamente invulnerabile e, così come si presenta, è un esempio meravigliosamente elegante di ingegneria biologica. Non necessita di essere migliorato in nessun modo

quel robot non era pronto a fermarsi.

1 – Perché non celebrare l’anniversario del proprio concepimento invece che della nascita?

2 – «La sola possibilità di essere libero vale tutto il denaro che possiedo»

3 – Cos’è allora che fa davvero umani gli uomini?

Non temete, saprete come va a finire l’avventura di Andrew il 31 agosto

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